Negli ultimi anni anche nel nostro settore si fa un gran parlare di internazionalizzazione, localizzazione, globalizzazione e glocalizzazione: si tratta di concetti chiari e perfettamente comprensibili alle aziende e ai loro decisori, oppure di termini “di moda” in managerialese ma privi di un contenuto ben definito ai più?

In questo articolo cercheremo di illustrare sinteticamente il loro significato, partendo dal senso più ampio per arrivare a focalizzare l’attenzione su cosa internazionalizzazione, localizzazione, globalizzazione e glocalizzazione significano nel settore della traduzione.

L’internazionalizzazione è il processo di adattamento di una impresa, un prodotto o un marchio che inizialmente è stato sviluppato per un dato mercato, in modo che risulti adatto ad altri mercati, con attenzione alle rispettive culture.

L’internazionalizzazione riguarda tutti gli aspetti relativi al posizionamento estero, a 360°, dalla logistica alla contrattualistica, dalla normativa giuslavoristica al diritto nazionale e internazionale, dalle fluttuazioni di cambio alla stabilità socio-politico-economica, dalla strategia generale agli strumenti pubblici di finanza agevolata: insomma, all’intero scenario che si prende in considerazione quando si analizzano dati aggregati e disaggregati su database e portali dedicati, come nel caso del Ease of doing business rank della Banca Mondiale.

Tuttavia, l’internazionalizzazione non si riferisce necessariamente ed esclusivamente ad attività outbound, vale a dire proiettate al di fuori dei propri confini di mercato, ma per estensione anche ad attività inbound, vale a dire mirate a rendere in qualche misura “internazionale” il proprio servizio o prodotto così che sia maggiormente attrattivo e fruibile per clienti e utenti stranieri che ci raggiungono e si servono all’interno dei nostri confini di mercato.

Ma non solo: alla base di attrattività e fruibilità sussiste una necessità di comprensione, ovviamente valida sia per le attività di internazionalizzazione outbound, sia per le attività di internazionalizzazione inbound, poiché il soggetto interessato all’internazionalizzazione stessa può disporre del prodotto o servizio migliore del mondo, ma se i suoi contenuti divulgativi ed esplicativi non sono veicolati, quindi tradotti, in un modo adeguato nella lingua dell’obbiettivo di mercato (target), l’intera architettura della strategia e delle azioni svolte per internazionalizzare finisce per essere un inconcludente e instabile castello di carte su fondamenta cedevoli…

Restringendo il campo a quanto di competenza comunicativa e linguistica, esistono due approcci per quanto riguarda la strategia da seguire per rendere i propri contenuti “vendibili” a un target estero rispetto al loro punto di produzione.

Tuttavia, prima di approfondire questo argomento, smarchiamoci da un frequente elemento di confusione: internazionalizzazione e localizzazione sono talvolta erroneamente accumunati alla parola globalizzazione, con la quale si intende un ampio insieme di fenomeni connessi con l’incremento dell’integrazione economica, sociale e culturale fra le diverse parti del mondo; e più specificamente, come “Globalizzazione dei mercati” che l’enciclopedia Treccani introduce come “Fenomeno di unificazione dei mercati a livello mondiale, consentito dalla diffusione delle innovazioni tecnologiche, specie nel campo della telematica, che hanno spinto verso modelli di consumo e di produzione più uniformi e convergenti”.

Sgomberato il campo da possibili fraintendimenti tra globalizzazione vs. internazionalizzazione e localizzazione, andiamo adesso a vedere che cosa stanno a significare questi ultimi due in ambito linguistico, comunicativo e soprattutto di impostazione per una traduzione efficace dei contenuti.

Nel gergo settoriale della c.d. “language industry”, l’internazionalizzazione è l’adattamento “nativo”, quindi a priori, del prodotto/servizio per un potenziale utilizzo esterno rispetto al mercato in cui nasce, mentre la localizzazione è l’aggiunta a posteriori di caratteristiche che permettano di adattare l’elemento in specifici mercati per l’appunto definiti locali.

Si tratta quindi di processi complementari, entrambi finalizzati a raggiungere un mercato internazionale, ma con approcci del tutto diversi.

Quindi, a un’azienda orientata fin dall’inizio ad aprirsi verso uno o più mercati esteri, come a clienti stranieri presso la sua attività, suggeriremmo di adottare un approccio di internazionalizzazione, che consiste nel produrre i testi “sorgente” nella lingua di partenza del proprio business già pensandoli e sviluppandoli in modo lineare e neutro, così da rendere il processo di traduzione a cascata a sua volta il più lineare e semplice possibile.

Come si mette in pratica questa strategia?

Il metodo più usato è di scrivere i contenuti di partenza in lingua inglese o in altra lingua “ponte” a partire dalla quale la traduzione risulti più diretta e meno dispendiosa: è frequente la situazione in cui i contenuti di partenza sono sviluppati – per esempio – in italiano, e che per sviluppare le versioni in cinese, coreano e giapponese si “passi” dalla traduzione inglese.

In questi casi, a prescindere dalla professionalità dei traduttori e revisori coinvolti, si verifica sempre una certa perdita di informazione, dato che il passaggio dalla lingua di partenza alle tre lingue di arrivo prese qui come esempio transita da una ulteriore lingua “di servizio”.

Altrimenti – o, meglio, in aggiunta – il testo di partenza andrà composto tenendo in considerazione le caratteristiche delle lingue target, ad esempio evitando frasi troppo articolate o modi di dire nazionali che potrebbero risultare difficili da rendere in traduzione: più generalmente, semplificando lessico, sintassi e morfosintassi del testo sorgente.

Questa neutralizzazione non porterà necessariamente a un impoverimento della comunicazione – questo sta all’abilità del copywriter – e certamente semplificherà il lavoro in traduzione rendendolo più efficace per i fini comunicativi dei paesi e delle culture di destinazione.

Come già accennato qui sopra invece la localizzazione è l’aggiunta a posteriori di caratteristiche che permettano di adattare l’elemento in specifici mercati per l’appunto definiti locali: è pertanto complementare rispetto all’internazionalizzazione, ma può esistere anche senza la preparazione a monte implicata in quest’ultima, mirando ad adattare nel modo migliore possibile in lingua e cultura target un testo che non è stato necessariamente preparato a monte per questo obbiettivo.

Una curiosità per i non addetti ai lavori sui termini internazionalizzazione e localizzazione: i rispettivi termini inglesi sono talvolta abbreviati in i18n e l10n laddove i numeri 18 e 10 corrispondono alle lettere omesse, con il vantaggio di evitare possibili confusioni e una talvolta scomoda scelta tra le rese grafiche British English internationalisation / localisation e American English internationalization / localization.

E che cosa si intende invece con glocalizzazione? Si tratta di un tipico esempio di conio linguistico di parola “macedonia”, vale a dire ottenuta mischiando due termini compiuti, in questo caso “globalizzazione” e “localizzazione”, e sta a significare la tensione verso una resa testuale idealmente valida a livello globale, ma intrinsecamente mirata a un target locale.

Ammettiamo che si tratti di un obbiettivo pretenzioso, ma ad InnovaLang trattiamo quotidianamente decine di testi da internazionalizzare e localizzare, e l’idea di riassumere il nostro lavoro in “glocale” ci è piaciuto così tanto da farne uno dei nostri slogan… We make it glocal!

 

A cura di InnovaLang, agenzia di traduzioni Torino. Mettici alla prova, chiedici un preventivo!

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