“Smart è chi lo smart fa” (cit.). Portare l’ufficio a casa con lo smart working è davvero smart? Il lavoro agile è veramente agile? Dipende da come lo fai. Ci sono aziende che vincolano i loro dipendenti a lavorare da postazioni fisse fuori ufficio senza fornire loro gli strumenti di lavoro… Per esempio, questo non è proprio smart.

Presso InnovaLang abbiamo colto alcune opportunità, consentendo il lavoro da remoto sia in project management che in contabilità e traduzione/revisione, a prescindere dalla posizione geografica, con il solo requisito di connettività stabile e di buon livello, fornendo strumenti di lavoro altamente performanti ed efficienti e mantenendo gli appuntamenti fissi di riunioni settimanali, oltre ai consueti saluti quotidiani, continui confronti, disponibilità e reperibilità, e quindi uno “spirito di squadra” inalterato, dopo avere superato la tempesta del lockdown 2020 e il caleidoscopio delle zone rosse, arancio e giallo a seguire.

Ma come viene vissuto tutto questo personalmente, dai membri di InnovaLang? Lo condividiamo attraverso le nostre undici testimonianze, presentate in ordine alfabetico di nome!

Alessandra “Ale” Reale, Project Management e Contabilità

Lo smart working è arrivato ad InnovaLang perfettamente sincronizzato con i grandi cambiamenti aziendali di inizio 2020, che quasi in modo provvidenziale hanno permesso a tutti noi di poter continuare a svolgere il nostro lavoro da casa, ottimizzando i processi e migliorando la nostra efficienza. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, superato un breve iniziale attimo di smarrimento nel ritrovarmi da sola alla postazione casalinga anziché circondata dai colleghi, tutto il meccanismo si è ingranato rapidamente al meglio, con molte ripercussioni positive anche sulla mia vita personale, specialmente come mamma lavoratrice pendolare. La quotidiana frenetica routine mattutina, fatta di tragitto in auto, traffico e corse contro il tempo, ha lasciato il posto a un inizio di giornata più rilassato, che giova sicuramente nel lavoro e nel privato. Ho una piccola ma ben attrezzata e comoda postazione sul tavolo in salotto, che fortunatamente ha come sfondo uno dei pochi angoli ordinati della casa (strategico per le call!), e che di tanto in tanto ho condiviso con mia figlia alle prese con la DAD. Ora ho più tempo per me, per la mia famiglia, per la casa. Certo, mancano le pause caffè e le chiacchierate con i colleghi, sostituite da saluti a inizio e fine giornata, telefonate, scambi di battute in chat e call settimanali, ma a parte ciò, dopo più di un anno in smart working, promuovo questa esperienza a pieni voti!

Alessandra “Alex” De Giorgi, Project Management

Non nascondo che inizialmente ho avuto il timore che potessero sorgere alcuni problemi di natura tecnica e comunicativa, dato che il nostro lavoro si è sempre svolto in continua collaborazione e nel nostro open space. I timori si sono subito dissolti, infatti la comunicazione ha semplicemente cambiato canale, meglio dire canali: Skype, Zoom e WhatsApp sono diventati strumenti indispensabili di lavoro, mentre tutto ciò che riguarda la sfera operativa era già provvidenzialmente su cloud e il cambio di location non ha avuto alcun impatto. Quello che ho apprezzato subito dello smart working è stato il non dover affrontare il traffico cittadino e la ricerca del parcheggio. Poi con il passare del tempo, complici eventi e cambiamenti anche nella sfera privata, sono stata felice di poter passare più tempo con la mia famiglia che vive lontana e che solitamente riesco a vedere solo nei periodi di ferie, e anche il poter origliare, seppur di sfuggita, alcune lezioni in DAD del mio compagno, che diversamente non avrei mai potuto vedere all’opera. Ciò che più mi è mancato è senza dubbio l’interazione con i colleghi: chiacchiere, scambi e pause caffè di persona hanno tutto un altro gusto. Fortunatamente siamo riusciti a vederci in qualche occasione fuori dall’ufficio, quando le restrizioni lo hanno permesso. Penso che tutta questa esperienza abbia offerto, in generale, notevoli spunti per ripensare a modalità differenti di lavoro e riflettere su risvolti positivi e negativi, come l’impatto ambientale che può avere lo smart working e l’equilibrio tra vita lavorativa e privata.

Angela Ciricosta, Traduzioni e Controllo Qualità

Lavorare in smart working, per me, ha significato attraversare stati d’animo diversi, talvolta più sereni, talvolta più tristi. Inizialmente, quando credevamo che questa situazione sarebbe durata poche settimane, sono stata felice di poter posticipare la sveglia, non dover sgomitare per prendere i mezzi pubblici e lavorare in tuta da casa e rendermi presentabile solo per le riunioni su zoom (che sogno!!). Certo, non avevo ancora considerato il caldo infernale di un ufficio casalingo senza condizionatori e i geloni che avrebbero afflitto le mie povere mani nei mesi invernali, ma questa è un’altra storia. Alla felicità delle prime settimane è seguita l’angoscia di essere rinchiusi in casa e la mancanza di contatti umani: i caffè in compagnia a metà mattinata e le pause pranzo passate a scambiarci consigli di libri, cucina, cosmesi e molto altro ancora. Niente di tutto ciò potrà mai essere rimpiazzato da una videochiamata: questo è e sarà sempre il grande svantaggio dello smart working. A tingere di colore e momenti imbarazzanti il mio lavoro da casa ci ha pensato Giada, cagnolina meticcia di dieci anni arrivata da qualche mese a casa. Senza smart working sarebbe stato più difficile decidersi a adottare una cagnolina e, se avessi continuato a lavorare in ufficio, probabilmente oggi non potrei raccontare di quel giorno in cui la mia cagnolina ha deciso di schiantarsi sulla porta finestra (proprio accanto alla mia postazione!) per acchiappare un moscone e mangiarlo con gusto: peccato solo che fossi in videochiamata con una tirocinante e che la botta e la mia faccia non sono passate affatto inosservate.

Federico Perotto, Boss 1

Uno mette su un’agenzia di traduzioni per circondarsi di gente interessante, colta e multilingue, e poi finisce per lavorare da casa. Meno male che c’è questo blog, così almeno posso mostrare al resto del mondo che siamo i più smart & sexy di tutti. Ma anche i più bravi! Vi lascio continuare a leggere le testimonianze della mia bellissima squadra… :-)

Francesca Condemi, Traduzioni e Controllo Qualità

Smart working: un neologismo tutto italiano, che da un anno a questa parte è entrato nel vocabolario di milioni di persone, rivoluzionando il tradizionale concetto di ufficio. Se dovessi descrivere cosa ha significato per me questa nuova modalità di lavoro, la prima parola che mi verrebbe in mente sarebbe “calma”. Sì, perché a costo di risultare noioso alle volte, il lavoro agile ci ha dispensato dalle corse mattutine verso l’ufficio e dalle interminabili attese alla Godot alle fermate dei mezzi pubblici, consentendo l’instaurarsi in noi di uno stato di pace interiore del tutto nuovo. Cestinare poi l’abbonamento del bus, che portavo con me dagli anni del liceo, è stata una vera gioia! Volendo approfondire il racconto della mia esperienza in smart working, il pensiero andrebbe subito a un nome: Aaron. Già, perché per chi come me ha un animale in casa, è stata una vera e propria rivoluzione, la riscoperta della gioia di passare più tempo insieme e la possibilità di organizzare il lavoro e la cura del proprio cucciolo, senza sacrificare né l’uno né l’altro. Certo, conciliare il tutto non è stato sempre semplice o immediato, dalla questione acustica (imparare a disattivare il microfono durante le riunioni è stato un momento di svolta!) alla gestione della ricerca incessante di attenzioni («Aaron, sulla tastiera no!»), ma posso dire con certezza che ha reso il lavoro un’esperienza più intima e informale, libera finalmente da formalità più o meno utili, come lo stare a sedere composti alla scrivania (con buona pace della schiena) o indossare abiti scomodi. La mia esperienza è, quindi, più che positiva.

Ibrahim “Ibra” Karakulak, Project Management

Credo di essere stato uno dei primi lavoratori in Italia a cominciare a lavorare da casa a causa della pandemia. Era gennaio 2020, ero appena rientrato dall’Asia e quindi dovevo stare a casa in quarantena. All’inizio è stato difficile, devo ammetterlo. Lavorare da casa era un concetto totalmente nuovo al quale non ero abituato. Pian piano ho cominciato ad apprezzare diversi, anzi tanti aspetti dello smart working in quanto mi sono reso conto di poter fare tante cose che prima non riuscivo a fare per mancanza di tempo fisico – che normalmente si impiega nello spostamento da e verso l’ufficio – ad esempio passare tempo di qualità con i miei animali domestici oppure dedicare del tempo ai miei hobby. “Il tempo è denaro” si dice, e ammetto di aver risparmiato tanto denaro in questo periodo investendolo in momenti di qualità. Avevo paura che la mia performance subisse un calo, e invece a mia sorpresa è successo esattamente l’opposto in quanto il computer aziendale è sempre a disposizione e a volte è difficile staccarsi dal lavoro finché ci si diverte. Sono entusiasta dello smart working e lo trovo molto motivante. Aspetto con molta curiosità le statistiche sulle performance dei lavoratori in questo periodo. Inoltre cerco di essere sempre sensibile ed attento nei confronti dell’ambiente e del nostro pianeta; non posso nascondere la mia soddisfazione per la riduzione delle emissioni di gas nocivi grazie alla significativa riduzione dei viaggi in macchina.

Jacopo Trequadrini, Traduzioni e Controllo Qualità

Ore 14:00: Perfetto! Pancia piena e cucina rassettata. Continuo a tradurre e poi alle due e mezza riunione Zoom con boss e colleghi.

Ore 14:10: C’è un’ambulanza in cas… ah no! È la lavatrice che avevo messo su in pausa pranzo.

Ore 14:15: Carico sbilanciato. Il carico sbilanciato ha impedito il ciclo di centrifuga per proteggere la lavatrice. Aggiungere altri capi.

Ore 14:20: Aggiungo altri capi. La lavatrice continua a lamentarsi. Più che sbilanciata, direi che è squilibrata.

Ore 14:22: Ok ora mi colleg… Perché non carica la pagina? Ah beh, ovvio: “Internet non disponibile”.

Ore 14:24: Ho svuotato l’armadio. La lavatrice continua a ululare. Lupo ululì e castello ululà.

Ore 14:26: Faccio un profondo respiro. Zittisco l’infernale macchina lavapanni staccandole la corrente. “Internet non disponibile”. Panico. Respiro. Posso accendere un cero a San Aranzulla. Oppure usare il cellulare come hotspot Wi-Fi. Sono un genio!

Ore 14:27: Ok ecco il link di Zoom…e ora chi è al citofono? “Sì?” – “Pacco Amazon!” – “Ok, lo lasci sulla cassetta della posta” – “Non posso, deve scendere a firmare!”. Perché si sa, su un orario di consegna dalle 10 alle 18, il corriere saprà sempre scegliere il momento a te meno congeniale. È questione di soft skill.

Ore 14:28: Scendo quattro piani di scale per portare in salvo l’antico pacco di Amazon.

Ore 14:29: Salgo quattro piani di scale con l’antico pacco di Amazon in salvo. Esercizio per gambe e glutei? No, semplicemente manca l’ascensore.

Ore 14:30: Porca miseria devo sbrigarmi, è partita la call!!! Oddio, schermata nera, sono entrat… Sì! Uh! È entrato il boss!! Sono spettinato? Mi vede già? Per carità, via la caffettiera dal tavol… “Ciao a tutti! Come va?” – “Alla grande, grazie!”

Jesica “Je” Eberhardt, Project Management e Contabilità

È passato più di un anno da quando tutti ci siamo trovati a lavorare da casa. Ricordo molto bene il primo giorno, tra il verificare la connessione internet e il cercare di impostare tutto il necessario sul PC personale (temporaneamente), tra cui la posta, il software gestionale, il cat tool ecc. In questo passaggio è stato interessante notare che eravamo già pronti per lavorare da remoto, avevamo già tutti gli strumenti necessari: il cat tool Memsource, che abbiamo iniziato ad utilizzare poco prima dell’inizio della pandemia, collegato al nostro software gestionale Xtrf, è risultato molto utile. Così come la condivisione di tutti i documenti su Dropbox e su SharePoint di Microsoft Office. Con i colleghi abbiamo potuto continuare a comunicare senza alcun tipo di problema, grazie all’utilizzo di Skype. Nel giro di pochi giorni abbiamo avuto a disposizione i PC aziendali e siamo partiti con le riunioni settimanali in videoconferenza. Con Zoom ci siamo trovati bene da subito. A parte qualche mia esperienza personale capitata a una delle prime riunioni, tipo quando il mio bel cagnolone ha iniziato ad abbaiare (pastore tedesco, quindi un bel concertino) e io avevo lasciato il microfono acceso… Per fortuna una collega mi ha avvisato subito, problema evitato! Voleva partecipare anche lui alla riunione… Posso confermare comunque che quella dello smart working finora è stata un’esperienza molto positiva. Abbiamo avuto la possibilità di capire come organizzarci al meglio, di come sia importante crearsi uno spazio di lavoro tutto nostro, separato dalle aree comuni della casa; e di come sia indispensabile avere una sedia comoda che permetta una corretta postura.

Marco Ballauri del Conte, Boss 2

Sono sempre stato abituato a spostarmi per lavoro e quindi a lavorare su computer portatili e postazioni improvvisate. Nonostante ciò, o forse proprio per questi anni “nomadi”, non amo molto lavorare da casa, preferisco avere uno spazio dedicato al lavoro in modo da “staccare” e potermi concentrare al 100%. Sin dall’inizio di questo nuovo mondo lavorativo smart/agile che è venuto delineandosi dal 2020 ho però adottato la politica di avere un secondo ufficio “volante” e quindi: monitor esterno, tastiera, mouse e auricolari per computer e telefono cellulare sempre in zaino. Anche perché il concetto di lavoro da casa oramai è un concetto molto allargato geograficamente. Visto che la connettività è uno dei temi principali del lavoro da remoto, proprio a marzo 2020 ho avuto pesanti problemi con il provider internet sulla linea di casa e sono stato costretto ad appoggiarmi sull’hot-spot del telefono cellulare, che però a casa mia non prende bene, a eccezione di un punto ben preciso in cima ad una collinetta vicino. Risultato, le call importanti, per evitare possibili cadute di linea, le gestivo sotto un albero in cima alla collina cercando di darmi un tono professionale anche quando le temperature erano piuttosto rigide!

Nicole Negletto, Traduzioni e Project Management

La mia idea di lavoro è sempre stata molto tradizionale: svegliarsi presto la mattina, scegliere cosa indossare, uscire di casa al mattino con il sole, il caffè al bar davanti all’ufficio prima di entrare a lavoro, il caffè in pausa pranzo… cose semplici, che amo, parte della routine del lavoro di ufficio. Non ho fatto in tempo a iniziare la mia carriera come traduttrice che mi sono trovata a lavorare nella mia stanza, 20 m2 che condivido con Tristan, il mio cane. Pian piano ho costruito il mio ufficio dentro le mura della mia piccola casa, ho anche comprato un bonsai da tenere sulla scrivania, mi rilassano le piante! Per quanto riguarda il caffè del bar ho risolto il “problema” comprando una macchinetta con le cialde: una spesa esigua rispetto al guadagno generale che ho ottenuto lavorando in smart working. Non dovendomi recare in ufficio ho eliminato completamente i costi derivanti da questo trasferimento, inoltre il tragitto casa-lavoro/lavoro-casa mi portava via due ore della giornata ed essendo una persona a cui non piace stare ferma e perdere tempo ora riesco ad avere più tempo. C’è da dire che non sempre a Torino c’è il sole, quindi nelle giornate di pioggia sono molto contenta di rimanere a casa e le mie passeggiate giornaliere sono ugualmente possibili grazie al mio cagnolino: per me è stato importantissimo riuscire a portarlo giù nella pausa pranzo senza dover chiedere a qualcuno di prendersi questo impegno. Lavorare da casa mi ha permesso di concentrarmi maggiormente durante l’orario lavorativo, lavorare “smart” non significa lavorare meno e peggio! Il nostro lavoro ci permette di essere autonomi e organizzarci al meglio con flessibilità, nella mia routine e nel mio ufficio a casa quindi non manca niente!

Stefania Martini, Traduzioni e Controllo Qualità

Nel caos completo che ci ha coinvolti tutti, da quando ho iniziato a lavorare da casa (o per meglio dire, in #remoteworking), le conversazioni in chat con i colleghi e l’interfaccia di Memsource sono rimaste un punto fermo della mia quotidianità. Ogni mattina, puntuali come un orologio, arrivano i saluti nel nostro ufficio virtuale: sì, perché il nostro gruppo su Skype, con boss, Project Manager e traduttori è diventato il nostro nuovo quartier generale smart, dove in qualsiasi momento siamo tutti presenti per discutere e riorganizzare dinamicamente il nostro lavoro. Sebbene la tecnologia sia rimasta la stessa, il mio ufficio casalingo ha cambiato aspetto varie volte nel corso di questo anno e mezzo, adattandosi alle mie esigenze. Ripensare i miei spazi di volta in volta è stato un modo per migliorare l’efficienza e maturare un’esperienza inedita, vivendo la professionalità che una volta era destinata all’ufficio sotto un’altra luce, senza perdere di vista i ritmi lavorativi. Ma, in definitiva, è meglio lavorare da casa o dall’ufficio? A questa domanda in molti hanno provato a dare una risposta più o meno univoca, ma la soluzione va ricercata nel sapersi adattare al contesto, indipendentemente dal luogo (che siano gli uffici di #InnovaLang, il mio appartamento a Torino oppure la mia casa al mare in Veneto). È innegabile che lo smart working mi ha consentito di essere più vicina ai miei affetti, ma è anche vero che una chiamata su Zoom non potrà mai replicare il clima di cordialità tipico del nostro ufficio.