Per più di dieci anni, scorrendo i profili LinkedIn più in rilievo e interessanti nel settore Traduzioni, mi sono imbattuto con una certa frequenza nel profilo del fondatore e CEO di una delle maggiori LSP (Language Service Provider), quindi nel settore della Language Industry in Italia.

Presentato in fotografia con viso aperto, sorridente e sornione, il suo profilo suscitava rispetto per la pluridecennale esperienza a capo di un’impresa di traduzioni di grande successo, e con esso una certa ammirazione e senso di riverenza per la sua figura professionale: impiegai infatti anni a “sentirmi all’altezza” per potergli chiedere il contatto.

Ebbi quindi l’opportunità di conoscerlo di persona in occasione del primo convegno ELIA (European Language Industry Association) a cui partecipai, a Catania nel maggio 2018, in cui seguii il suo intervento intitolato “Financial strategies: the golden quest” che mi aprì una nuova prospettiva sulla gestione d’impresa tramite un accurato lavoro sul budgeting, e sul controllo finanziario in generale.

Il nostro settore gira intorno alla comunicazione in senso ampio, e più che in altri ambiti si basa su relazioni umane: una volta rotto il ghiaccio già durante il workshop a seguito del suo intervento – memorabile il siparietto sulla percezione della qualità (“Esiste, o non esiste? Questo è il problema!”) nelle traduzioni – ci ripromettiamo di sentirci, e diamo seguito con diversi incontri fra Italia e Spagna per sondare alcune opportunità di fusione e acquisizione.

Avvalendomi delle sue consulenze, vengo ulteriormente colpito dalla sua conoscenza della c.d. “Language Industry” non solo in Italia, bensì in ambito paneuropeo: Roberto Ganzerli è stato anche co-fondatore di ELIA, nel lontano 2005, gettando le fondamenta per l’associazione più rappresentativa del settore traduzioni in Europa.

Credo quindi che sia la persona più qualificata per darci una panoramica sullo stato del nostro settore in Italia, e gli sono riconoscente per avere accettato questa nostra intervista.

Roberto, partiamo dalle radici: quanto ha contato avere formazione linguistica, nel tuo percorso professionale?

Ha contato molto, ovviamente. Ho iniziato il mio percorso nella Language Industry come traduttore – ormai quasi quaranta anni fa! Va detto che il traduttore negli anni ’80 non aveva nulla a che vedere con i professionisti di oggi, sembra preistoria… ma ho avuto il privilegio di avere attraversato tutto il ciclo evolutivo di questo mestiere, dai dizionari di carta alla MT, ed è stato un percorso affascinante.

Trovi che faccia la differenza iniziare “dal basso” come traduttore? E come ti sei evoluto in imprenditore?

Iniziare come traduttore non significa cominciare “dal basso”, ma certamente da molto lontano rispetto ai ruoli che ho rivestito negli ultimi anni di attività. Traduttori in parte si nasce e si rimane per sempre. C’è chi lo fa e farà tutta la vita e c’è chi, come me, modificherà il proprio percorso professionale verso altre destinazioni. Nel mio caso, il passaggio da traduttore a imprenditore è stato graduale e la mia formazione umanistica è stata un vantaggio solo parziale. Nel corso degli anni ho dovuto sviluppare competenze manageriali ed economico-finanziarie che non possedevo.

Molte società di traduzione di piccole e medie dimensioni sono di proprietà di (ex)traduttori. Spesso gli stessi (ex)traduttori ne sono anche i manager. Sono molti i casi di successo, con belle realtà che hanno una solida posizione sul mercato, ma credo di non sbagliare se affermo che per gestire un’azienda – anche di traduzioni – e farla crescere servono soprattutto imprenditori e manager. Credo quindi che un traduttore a capo della propria azienda si trovi spesso di fronte ad un dilemma professionale: sono un traduttore o un manager?

Io ho scelto di abbandonare i dizionari e trasformarmi in un imprenditore. Ho studiato cose nuove, ho dovuto resistere alla tentazione di tornare alle amate lingue e mi sono dedicato a capire che, indipendentemente da ciò che produciamo e vendiamo, l’azienda è un’entità a sé, con regole proprie e non un’estensione di noi stessi, una passione da coltivare. Diciamo che da vent’anni a questa parte sono passato da una vita fatta di parole ad una fatta di numeri. Di fatto ho intrapreso una seconda professione che mi ha costretto a guardare la prima con occhi diversi, meno emotivi e più realistici.

Nel corso degli anni ho conosciuto centinaia di titolari di società di traduzione, una buona parte di loro, come me un tempo, non sapeva leggere un bilancio, fare un budget o prevedere un flusso di cassa. Forse è il lascito naturale dell’essere nati come traduttori, ma la mancanza di conoscenze in ambito economico-finanziario rappresenta un indiscutibile freno allo sviluppo industriale di molte società del nostro settore.

Quali sono stati i punti di forza delle tue imprese?

In parte ho già risposto, credo. Ma se vogliamo approfondire, oltre alle competenze manageriali/industriali che abbiamo progressivamente innestato in azienda, abbiamo sempre lavorato in base ad un piano strategico che ci indicava il cammino che intendevamo intraprendere.

I modelli di business sono diversi da società a società, non esiste una via unica alla crescita. Per noi sono sempre stati importanti l’internazionalizzazione e la mitigazione del rischio, la tecnologia e l’industrializzazione dei processi, la valorizzazione e la crescita dei talenti individuali, il merito e la misurazione delle prestazioni rispetto agli obiettivi.

Come vedi il panorama nazionale, nella nostra c.d. Language Industry?

È un tema complesso e sfaccettato. Proverò a commentare solo un paio di punti che mi stanno a cuore. Diciamo innanzitutto che non è facile avere un’idea chiara del panorama perché le informazioni a disposizione sono scarse. Vorrei aggiungere qui che le associazioni nazionali di settore – in Italia ne abbiamo ben due! – potrebbero offrire ai propri associati un servizio migliore a questo riguardo. Sarebbe importante mettere a disposizione dei membri informazioni industriali e di mercato utili a compiere scelte strategiche di sviluppo, invece pare che le due associazioni preferiscano indirizzare i loro sforzi su altre tematiche, a mio avviso non sempre utili.

Ciò premesso, se ci basiamo ad esempio sull’unico studio di settore disponibile e accettabile per estensione e rappresentatività (circa 180 società in Italia), abbiamo un panorama che io suddividerei in quattro fasce di fatturato. Poche società multinazionali che superano i 5 milioni di euro (meno del 4% del totale del campione), un ristretto gruppo di società tra 2 e 5 milioni di euro (meno del 9%), un altro drappello con un fatturato compreso tra 1 e 2 milioni di euro (poco più dell’11%), infine un vasto gruppo di società il cui fatturato non arriva a 1 milione di euro (oltre il 75% del campione). Tradotto: un panorama eccessivamente frammentato, senza “campioni” veri e propri che fungano da sprone ed esempio.

Inoltre, se escludiamo il primo gruppo che gioca un campionato a parte, ovvero si muove già sul mercato internazionale ed è strutturato per competere globalmente, e l’ultimo gruppo, molto eterogeneo e con scarse prospettive di crescita – salvo alcuni casi sporadici, i due gruppi centrali costituiti complessivamente da una trentina di società (il 20% delle società di traduzioni italiane) possiedono caratteristiche davvero interessanti e grandi potenziali di crescita. Per raggiungere traguardi importanti, tuttavia, dovrebbero lavorare sulle proprie strategie di medio-lungo periodo con solidi piani industriali di investimento. Perciò direi che abbiamo un panorama potenzialmente interessante, ma poco reattivo.

Infine e purtroppo, la composizione dei quattro gruppi sembra in larga parte immutabile: la maggior parte delle società è cristallizzata all’interno del proprio gruppo da anni, indice di quelle che io considero le peggiori caratteristiche del panorama italiano, l’autoisolamento e la convinzione che sia sufficiente una prospettiva esclusivamente nazionale.

Va detto che queste caratteristiche sono diffuse anche in altri paesi, tuttavia la scarsa propensione agli investimenti e alla crescita non è un buon segnale, ne sono sintomi evidenti anche le quote di mercato e i risultati finanziari della maggior parte delle società di traduzione italiane. La Language Industry mondiale è relativamente giovane e si trova in piena fase di configurazione. È deludente notare come l’immobilismo italiano escluderà le nostre aziende dal processo di polarizzazione e concentrazione che si sta realizzando sul panorama internazionale.

Per riassumere, vedo nel mondo un’industria della traduzione in grande evoluzione e trasformazione, un progresso a cui le aziende italiane sembrano non voler partecipare.

Che peso avranno le politiche di fusione e acquisizione, nei prossimi anni?

Crescere organicamente è un processo costoso e lento, lo sappiamo. Ormai le società che vogliono crescere sensibilmente in un arco di tempo accettabile si affidano sempre più ad operazioni di M&A. Lo dimostrano le decine di fusioni e acquisizioni cui abbiamo assistito negli ultimi anni.

Per come si sta delineando l’industria della traduzione mondiale, ritengo inevitabile una progressiva e costante concentrazione delle imprese e un’ulteriore spinta verso acquisizioni in grado di rafforzare alcune aziende nelle loro posizioni di mercato e nella diversificazione.

Non si deve pensare a M&A come ad un ambito riservato ai pochi grandi attori del mercato. Ci sono esempi di piccole-medie aziende che, a fronte di un piano di sviluppo convincente, hanno avuto accesso a mezzi finanziari consistenti per acquisire altre aziende e raggiungere migliori posizioni di mercato in breve tempo. Il denaro costa poco ed è accessibile a chiunque abbia un buon bilancio e soprattutto un buon piano industriale.

Anche su questo fronte, in Italia quasi tutto dorme. Ci sarebbero ottime opportunità che però nessuno vuole o riesce a cogliere. E immaginando che i giochi importanti si svolgeranno tramite concentrazioni societarie, temo che il nostro paese ne rimarrà al margine.

Quanto è importante differenziarsi dai concorrenti?

Sulla questione hanno scritto enciclopedie, ormai. La risposta più ovvia è: differenziarsi è molto importante. Vorrei tuttavia aggiungere un paio di considerazioni.

Nessuno riesce esattamente a definire cosa sia la famigerata “differenziazione” intesa come arma vincente definitiva. E mi stupirebbe il contrario, ovviamente. Quasi tutte le LSC (Language Service Companies) offrono le stesse inevitabili caratteristiche: qualità, velocità, tecnicità, ecc…

Ebbene, questa non è differenziazione.

Salvo qualche caso o nicchia di mercato molto specifici, la differenziazione è la difficile combinazione di alcune caratteristiche del servizio che si offre al cliente. Per differenziarsi occorrono dimensioni, risorse, tempo e denaro. È molto difficile differenziarsi quando si è piccoli. Ad esempio, per rifarsi al panorama italiano, trovo difficile enumerare le differenziazioni che esistono tra le trenta società interessanti che abbiamo identificato prima.

Quasi tutte producono quasi lo stesso servizio. È logico, è normale.

E non sono nemmeno certo che tutti i clienti cerchino questa salvifica differenziazione. Un cliente di piccole-medie dimensioni richiede probabilmente solo un buon servizio e accontentarlo già non è poco.

Se una società vuole veramente differenziarsi, dia inizio ad una strategia di acquisizioni a medio-lungo periodo. Il mercato la remunererà!

Quale sarà nel prossimo futuro la “soglia di sopravvivenza” per le piccole LSP?

A questa domanda non so rispondere. Di recente, il CEO di una grande società neozelandese ha previsto che al mondo la maggior parte delle LSC – 20.000 secondo lui – è destinata all’estinzione. Per fortuna non ci ha detto entro quando.

Non so se esiste una soglia di sopravvivenza intesa come un fatturato minimo. Nella ricerca di mercato a cui abbiamo già fatto riferimento, più del 50% delle società analizzate in Italia non raggiunge un fatturato annuo di 500 mila euro. La stragrande maggioranza delle LSC nel mondo sono micro o piccole società che agiscono sul mercato, un luogo dove c’è posto per molti, moltissimi. In tutti i settori le aziende nascono e muoiono, il nostro non fa eccezione.

Ciò detto e pur essendo un convinto assertore del fatto che le dimensioni contano, la sopravvivenza non verrà assicurata solo dalle dimensioni: conteranno la tecnologia, la varietà dei servizi offerti, la customer experience e il grado di satisfaction, la brand reputation, la solidità finanziaria, la creazione del valore, e così via. Se vogliamo osservare la questione da un diverso punto di vista, la sopravvivenza non è garantita nemmeno alle società più grandi e, di certo, a quelle che non saranno gestite sul mercato come delle vere e proprie aziende dinamiche e innovative.

Hai qualche aneddoto in particolare da raccontarci?

Ne avrei tanti. Ho venduto il gruppo Arancho Doc nel 2017. Fu una decisione difficile e un processo complicato. Non solo nella pratica, anche nelle emozioni e nella sfera personale. Pensavo che il mio mondo finisse lì. Invece sono nate nuove cose, nuove sfide, insomma una vita diversa e non totalmente separata dal mondo delle società di traduzione, piuttosto al suo fianco e che mi appassiona ancora molto.

Inoltre, in questi tre anni di “separazione consensuale” dalla Language Industry ho avuto modo di ripassare il film della mia vita professionale. E ho scoperto un sacco di errori, di leggerezze, di scelte sbagliate che vorrei non avere compiuto. Ma poi ci ho lavorato su e ho capito che in realtà gli errori hanno fatto parte del mio viaggio. È stato interessantissimo e me lo sono goduto fino in fondo.

Di che cosa ti occupi adesso?

Metto a disposizione di altre LSC la mia esperienza di manager e imprenditore. Nel mio percorso professionale ho contribuito alla creazione di un gruppo con otto uffici in cinque paesi europei, ho fatto fusioni e acquisizioni, ho rivestito diversi ruoli manageriali, ecc.

Adesso faccio il consulente di aziende italiane ed europee, di piccole e medie dimensioni, della Language Industry che vogliono crescere e hanno bisogno di un consiglio sulle modalità da adottare. Inoltre, offro i miei servizi come M&A advisor alle stesse società che stanno pensando alla crescita mediante un’operazione straordinaria di fusione e acquisizione, come anche alle ditte interessate a cedere la loro attività.

Come ho detto, molte aziende italiane hanno enormi potenzialità di crescita, aiutarle ad esprimerle e a raggiungere nuovi obiettivi mi dà grande soddisfazione.

Ringraziamo ancora molto Roberto, che è a disposizione per eventuali richieste di consulenza all’indirizzo rganzerli@yahoo.it

A cura di InnovaLang, agenzia di traduzioni Torino. Mettici alla prova, chiedici un preventivo! :-)