Prefazione di A. Martinet a Languages in Contact di U. Weinreich (Trad. Calvetti e Perotto)
Education et Sociétés Plurilingues n° 13 – décembre 2002 (pp. 10-12)
Federico Perotto
Weinrich U. (1964/1963) Languages in Contact. Findings and problems. The Hague, Mouton & Co. (1st edition, New York: Publications of the Linguistic Circle of New York, n° 1).
Traduzione italiana a cura di Franco Calvetti e Federico Perotto
Vi fu un tempo in cui il progresso della ricerca esigeva che ogni comunità fosse considerata come linguisticamente omogenea e autonoma. Che tale situazione autarchica fosse considerata come un fatto oppure venisse data come ipotesi di lavoro non deve condizionarci più di tanto, anche se fu certamente una proposizione utile. Facendo sì che i ricercatori si precludessero un gran numero di complessità, tale proposizione permise ai saggi, a cominciare dai padri fondatori della nostra scienza per arrivare ai funzionalisti e agli strutturalisti d’oggi, di individuare in astratto certi problemi fondamentali, di proporre soluzioni nel quadro dell’ipotesi adottata e, più in generale, di raggiungere forse per la prima volta un certo rigore nella ricerca sull’attività psichica dell’uomo.
I linguisti dovranno sempre rifarsi, di tanto in tanto, a questo postulato pragmatico; ma noi dobbiamo fin da questo momento sottolineare l’affermazione per cui una comunità linguistica non è mai omogenea e non è quasi mai chiusa. I dialettologi hanno sottolineato che le cellule linguistiche sono permeabili, e si è potuto dimostrare che i mutamenti linguistici si riproducono come onde attraverso lo spazio. Tuttavia c’è da dire che la diversità linguistica comincia fin dal vicino di casa – che dico? – fin dalla famiglia, presso ognuno di noi. Come se non bastasse notare che ogni individuo è di per sé un campo di battaglia in cui si affrontano tipi e abitudini linguistiche in conflitto e, allo stesso tempo, è una sorgente permanente di interferenza linguistica.
Ciò che in modo inconsiderato e un po’ frettoloso chiamiamo “una lingua” è l’aggregazione di una moltitudine di microcosmi, molti dei quali attestano comportamenti linguistici non conformi, non comuni, in modo tale da porre nuovi interrogativi circa la loro appartenenza a un nuovo gruppo di “lingue”. Ciò che complica ulteriormente il quadro e può, al tempo stesso, contribuire a chiarirlo, è il sentimento di fedeltà linguistica che sottende alla risposta di ciascun individuo. Piuttosto che parlare di scambio vero e proprio, la fedeltà è il cemento che tiene saldate le nostre “lingue”: più delle differenze materiali proprie fra due lingue letterarie, si tratta di una fedeltà diversa, che fa sì che il Ceco e lo Slovacco siano due lingue separate.
Si potrebbe essere tentati dal definire il bilinguismo come un fenomeno di linguistica condivisa che porterebbe a considerare la persona monolingue come strana, anormale, un caso inquietante in linguistica. Né l’uomo comune, né il dialettologo useranno il termine “bilinguismo” nel caso in cui si parli di gente di campagna che usa alternativamente una forma di lingua standard e un dialetto, perché quest’ultimo non susciterebbe una fedeltà linguistica. Il concetto di fedeltà linguistica è tuttavia troppo vago per aiutare a decidere, nei casi dubbi, se convenga o no diagnosticare una situazione bilingue. Inoltre, il linguista non trarrebbe beneficio riducendo in questo modo l’uso di “bilinguismo”, se ciò dovesse indurre lo specialista in contatti linguistici a escludere dal suo campo d’azione un gran numero di situazioni sociolinguistiche che meritano un attento esame. Nello stesso individuo, lo scontro di due lingue dotate di uno statuto sociale e culturale paragonabile, entrambe parlate da milioni di colti monolingui, può essere psicologicamente molto spettacolare ma, a meno di avere a che fare con un genio letterario, le tracce linguistiche permanenti di un tale scontro saranno nulle. La coesistenza, presso un certo numero di umili contadini parlanti due insiemi di abitudini linguistiche in conflitto fra loro, uno in una lingua di prestigio, l’altro in un dialetto basso, può avere ripercussioni importanti sulla storia linguistica nella parte di mondo in cui avviene tale incontro. La fedeltà linguistica è un fatto importante, ma da non considerare come decisivo al momento del contatto linguistico.
Noi tutti, a livelli diversi, adattiamo il nostro linguaggio alle diverse circostanze e lo differenziamo a seconda del nostro interlocutore. Sembra che questo incessante processo di adattamento differisca fondamentalmente da ciò che si produce quando passiamo da una lingua all’altra, per esempio dall’inglese al russo. Nel primo caso facciamo sempre riferimento allo stesso sistema; ciò che cambia, a partire da un momento a quello seguente, è la nostra scelta nelle ricchezze lessicali e nelle risorse espressive che la lingua, sempre la stessa, mette a nostra disposizione. Nel secondo caso lasciamo da parte un sistema omogeneo per entrare in un altro sistema altrettanto omogeneo. Perlomeno si tratta di ciò che si presume accada in una situazione di bilinguismo ideale. Ma in quale misura una tale situazione si realizza davvero? Anche presso dei linguisti particolarmente virtuosi che, a prezzo di un esercizio costante, riescano a mantenere distinti due media o più, un’osservazione accurata rivelerebbe nella maggioranza dei casi almeno qualche traccia di amalgama strutturale.
D’altronde, potremmo immaginare ogni sorta di intermedi posizionati fra i casi seguenti: un monolingue che passa da uno stile a un altro; un locatore di un sottostandard capace, in caso di necessità, di ripulire il suo linguaggio per renderlo vicino allo standard; un dialettofono che gradualmente e per ogni registro passi dalla famigliarità più disinvolta al comportamento più controllato fino allo standard; un altro dialettofono che si accinge a trattare la sua lingua vernacolare e lo standard come due registri chiaramente distinti con strutture largamente divergenti. La reciproca intercomprensione non può essere utilizzata come criterio del monolinguismo perché non vi sono grandi problemi per Danesi, Norvegesi, Cechi e Slovacchi a conversare fra di loro parlando ognuno la propria lingua.
L’intercomprensione reciproca è un concetto del tutto relativo. Chi conosce tutto della “sua” lingua? Sarà spesso più semplice comprendere lo straniero che chiede indicazioni per raggiungere la stazione, piuttosto che seguire una conversazione di lavoro tra due tecnici del luogo. Due interlocutori che al momento del loro primo incontro avevano trovato i loro rispettivi dialetti reciprocamente incomprensibili, possono trovare nel corso di ore, oppure giorni, la strada per una comunicazione senza ostacoli. Allorquando comunicare diventa una necessità impellente, ognuno apprenderà sufficientemente la lingua dell’altro, anche se i media in questione sono privi di legami genetici, né hanno somiglianze di sorta. Quando la volontà di comunicare si trova principalmente o interamente da una sola parte, è in tale direzione che tenderà a svilupparsi una situazione linguistica bilingue.
Il contatto fa nascere l’imitazione, e l’imitazione fa nascere la convergenza linguistica. La divergenza linguistica scaturisce invece dalla secessione, dall’allontanamento, dalla perdita di contatto. Malgrado gli sforzi di qualche grande saggio, come Hugo Schuchardt, la ricerca linguistica ha privilegiato finora lo studio della divergenza a scapito di quello della convergenza. È tempo che sia restaurato un giusto equilibrio. La convergenza linguistica può essere osservata e studiata in ogni luogo e in ogni tempo, ma il suo studio diventa particolarmente fruttuoso quando esso risulta da due strutture chiaramente distinte. È l’esplorazione scientifica dei tipi o pattern bilingui contemporanei che ci permetterà di definire con esattezza gli oggetti da definire come substratum, supersubstratum e abstratum, e di stabilire in che misura possiamo applicarli a una data situazione storica. Si sentiva la necessità di rivedere dettagliatamente tutti i problemi che il bilinguismo implica e che sono in esso implicati, a cura di un ricercatore ben al corrente delle attuali tendenze linguistiche, e con una vasta esperienza personale circa le situazioni di bilinguismo. Ora ci siamo.