La Traduzione Brevettuale

Federico Perotto (Prefazione di Fabrizio Megale)
La Traduzione Brevettuale – ed. 2014
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons.- BY NC SA

 

La traduzione brevettuale Linguistica Traduttologia Analisi linguistica Federico Perotto

Sintesi del volume

L’interesse che può suscitare la lettura del presente documento è insito, per il linguista, nella particolarità del linguaggio brevettuale, affascinante mix di linguaggio tecnico e legale/burocratico, vera e propria palestra per il traduttore, laddove il linguaggio tecnico concerne ogni possibile ambito tecnico e scientifico per presentare – come da definizione stessa di brevetto – qualcosa di estremamente innovativo o presunto tale. Si contestualizza storicamente, geograficamente e politicamente l’universo brevettuale, così da offrire al lettore una minima base concettuale sull’argomento. Al professionista e allo studente di traduzioni sono fornite indicazioni raccolte in anni di formazione accademica, di esperienza sul campo e di ricerca di informazioni mirate a fornire un quadro generale riguardo alla realtà delle traduzioni di documenti brevettuali.

Prefazione

Questo libro non solo colma una lacuna conoscitiva su una delle più rilevanti forme della traduzione specialistica sotto il profilo economico, ma evidenza anche la sua estrema attualità, poiché la traduzione brevettuale è investita più delle altre da tre ordini di dibattiti sviluppatisi negli ultimi anni.

Il primo dibattito riguarda la scelta politica se continuare, nei diversi ambiti della Unione europea, a praticare il multilinguismo integrale o se passare ad un regime di multilinguismo limitato e persino, in alcuni campi specifici, ad un monolinguismo fondato sulla lingua inglese.

Il secondo riguarda il rapporto fra traduzione tecnica e traduzione giuridica, poiché la traduzione brevettuale si trova alla confluenza di entrambe ed è emblematica della permeabilità fra discipline tipica del nostro tempo.

Infine il terzo dibattito riguarda l’affermazione dell’inglese come lingua franca del diritto, ma non già dell’inglese giuridico britannico o americano o persino del common law, ma dell’inglese “lingua neutra” o “lingua mista” svincolata dagli ordinamenti nazionali di origine.

Per quanto riguarda il primo aspetto, a livello sia internazionale che nazionale, aumentano i casi in cui il “diritto alla traduzione nella propria lingua” viene sostituito da una rinuncia totale o parziale a tradurre, a causa dei costi, dei tempi e anche dell’incoerenza indotti dal rispetto di un rigido multilinguismo integrale.

È sintomatico di questa evoluzione il cosiddetto protocollo di Londra alla Convenzione sul brevetto europeo, firmato nel 2000 e commentato da Perotto, che abroga l’obbligo di tradurre i brevetti nelle ventitré lingue dei trentadue paesi aderenti all’Ufficio europeo dei brevetti, sostituendo il precedente multilinguismo integrale con un regime linguistico differenziato.

I dibattiti che si sono aperti nei Parlamenti al momento della ratifica del protocollo, trasferitisi rapidamente nei principali giornali europei, e nella stessa opinione pubblica come è accaduto in Francia, hanno avuto il merito di far uscire la traduzione brevettuale dall’ambito degli addetti ai lavori in cui era tradizionalmente confinata, facendone un esempio significativo del contrasto fra il multilinguismo integrale, quello limitato ed il monolinguismo basato sull’inglese.

Per quanto riguarda il secondo dibattito, come osserva Perotto, la traduzione brevettuale si colloca alla confluenza fra le “lingue speciali”, quelle cioè della tecnica (meccanica, informatica, chimica ecc.), e un ben preciso “linguaggio settoriale”, quello del diritto: “La coesistenza di due approcci linguistici, tecnico/scientifico e giuridico/burocratico, rende il testo brevettuale unico nel suo genere, al tempo stesso decisamente “semplice” e rapido da tradurre (data l’aridità dello stile assolutamente non da adattare in sede di traduzione) una volta individuati i traducenti esatti; ma anche delicato, data la copertura legale che tale documento deve garantire alla proprietà intellettuale sull’invenzione in questione”.

Com’è noto, le lingue speciali o sottocodici sono varietà della lingua caratterizzate da un proprio lessico, separato da quello comune, come anche da tratti di morfosintassi e testualità caratteristici.
Le lingue speciali in senso stretto, peraltro, si distinguono da quelle in senso lato, dette anche linguaggi settoriali.

La funzione delle lingue speciali, cioè dei sottocodici veri e propri, è di rendere possibile la comunicazione circa determinati ambiti dell’attività umana, in modo che questa sia il più possibile univoca, precisa ed economica, e quindi più efficace e funzionale riguardo all’utilizzo in domini specifici.

Fra le lingue speciali rientrano sia le lingue delle scienze più formalizzate nei metodi e nella terminologia (ai gradini più alti si collocano la matematica, la fisica, la chimica o la statistica, che fanno largo uso di formule e di simboli, allontanandosi per questi aspetti dalle strutture delle lingue storico-naturali), sia quelle delle discipline meno formalizzate, che hanno rapporti più vicini con la lingua comune, secondo una scala decrescente che porta dalle scienze esatte e da quelle naturali alla medicina, al diritto, all’economia, ecc.

Per contro le lingue speciali in senso lato, o linguaggi settoriali, sono fortemente caratterizzate a livello del lessico, naturalmente, ma non possiedono una terminologia sistematica, univoca e formalizzata della materia.

Fra “lingue speciali” o “sottocodici” e “linguaggi settoriali” esiste tuttavia un continuum, con varietà che presentano nella maniera più completa le proprietà tipiche di una classe e altre che sfumano da una classe all’altra, presentando proprietà di entrambe.

Il linguaggio giuridico viene assegnato in linea di massima alla classe dei “linguaggi settoriali” sia dai giuristi, sia dai linguisti.

Com’è noto, il lessico delle lingue speciali è caratterizzato dalla sua vocazione monosemica. In esse infatti la corrispondenza fra termine e significato è almeno tendenzialmente biunivoca, nel senso non solo che ciascun significante delle lingue speciali ha un solo significato, ma anche che ciascun significato è rappresentato da un solo significante. Ciò accade in obbedienza alla necessità della precisione denotativa, per la quale i referenti devono essere indicati in modo esatto, non passibile di alcun margine di ambiguità.

Tuttavia, la polisemia esiste in larga misura nel linguaggio giuridico, per cui la monosemia in questo settore di attività rappresenta più che altro un obiettivo condiviso. È stato per esempio osservato che persino nell’ambito di una normazione tipicamente sistematica come un codice accade che un termine risulti usato in sensi parzialmente o totalmente diversi, o in sensi diversi dalla eventuale definizione esplicita.

Come si è già detto, il linguaggio giuridico è considerato un “linguaggio settoriale”, quale sopra definito, dalla maggior parte dei giuristi e dei linguisti:

“A differenza dei linguaggi formali e simbolici delle hard sciences, il linguaggio giuridico è distinto ma non separato da quello comune”; tuttavia, “proprio per il fatto di essere distinto, è percorso da tensioni che lo differenziano dagli usi informali e comuni di una lingua” (Sabino Cassese, cit. in Mortara Garavelli, p. 8).

Il criterio della non separatezza è servito a classificare tale linguaggio fra i linguaggi settoriali, “nella convinzione che l’aggettivo settoriale esprima bene l’attinenza del linguaggio giuridico ad un aspetto determinato dell’esperienza umana e della vita sociale (quello che, appunto, riguarda “il diritto”), senza però enfatizzare (a differenza degli aggettivi speciale o tecnico) una sua separatezza rispetto al linguaggio ordinario” (Andrea Belvedere, cit. in Mortara Garavelli, p. 8).

Come osserva Perotto, le lingue speciali tecniche indurranno pertanto un determinato tipo di traduzione, mentre il linguaggio settoriale giuridico indurrà un diverso tipo di traduzione, ma entrambi presenti all’interno della traduzione brevettuale.

Infine, il terzo dibattito parte dal fatto che, rispetto agli altri linguaggi settoriali, il linguaggio giuridico presenta una importante particolarità, riscontrabile soprattutto a livello di lessico.

Mentre infatti la terminologia delle lingue speciali, dei sottocodici e dei linguaggi settoriali è in varia misura internazionale e spesso quindi standardizzata, quella del diritto è ancora differenziata in base ai sistemi giuridici vigenti in ambito nazionale o comunque territoriale. Questa particolarità è stata sottolineata da tutti i giuristi che hanno studiato la traduzione. “Law is system-bound”, dicono i common lawyers.

Osserva Rodolfo Sacco: “La parola esprime una nozione. Se un biologo, per parlare dei linfonodi, utilizza quattro lingue diverse, egli trova in tutte le lingue una parola che corrisponde con la precisione desiderata al concetto ch’egli ha bisogno di esprimere. Non avviene sempre così, nell’area del diritto. I concetti creati, elaborati e utilizzati dal legislatore o dai giuristi di un sistema dato non corrispondono necessariamente ai concetti elaborati nell’ambito di un altro sistema”.

Tuttavia, in una serie di campi, come il diritto uniforme dei contratti, o quello della proprietà intellettuale analizzato da Perotto, o lo stesso diritto comunitario, l’inglese che si afferma come lingua franca è in varia misura una “lingua neutra” o una “lingua mista”, svincolata cioè sempre di più dagli ordinamenti nazionali e da essi ormai quasi indipendente. Se tale lingua costituisce un’indubbia agevolazione sul piano operativo, ad essa corrisponde un aumento delle difficoltà di traduzione, poiché appare orfana delle sue culture di riferimento e, per così dire, se ne sta costituendo di più nuove e globali (come accade in primis per l’inglese giuridico comunitario, quando ad esempio sostituisce actionability a enforceability).

La traduzione brevettuale, per concludere con le parole di Perotto, è quindi “una vera e propria palestra per il professionista della traduzione” e proprio in questa ottica di originale complessità al tempo stesso tecnica e giuridica va letto il suo manuale.

Fabrizio Megale
Facoltà di interpretariato e traduzione
Libera università San Pio V di Roma

Introduzione

L’interesse che può suscitare la lettura del presente documento è insito, per il linguista, nella particolarità del linguaggio brevettuale, affascinante mix di linguaggio tecnico e legale/burocratico, vera e propria palestra per il professionista della traduzione, laddove il linguaggio tecnico concerne ogni possibile ambito tecnico e scientifico per presentare – come da definizione stessa di brevetto – qualcosa di estremamente innovativo o presunto tale.

Questo manuale non ha pretese di completezza dal punto di vista della trattazione degli aspetti giuridici, quanto piuttosto di illustrazione generale dell’universo brevettuale, contestualizzato storicamente, geograficamente e politicamente, così da offrire al lettore una minima base concettuale sull’argomento.

Al professionista e allo studente di traduzioni sono fornite indicazioni raccolte in anni di formazione accademica, di esperienza sul campo e di ricerca di informazioni mirate a fornire un quadro generale riguardo alla realtà delle traduzioni di documenti brevettuali.

Si colma inoltre un vuoto editoriale su questa branca della traduttologia.

Il manuale è articolato in cinque capitoli partendo da una panoramica sul mondo brevettuale, per poi restringere via via il campo sull’argomento centrale: nel primo e nel secondo capitolo è descritta la tipologia di documento con accenni storici, geografici e politici, così da inquadrarne l’istituto nel tempo, nello spazio e nella società, procedendo in seguito a descriverne struttura e funzionamento.

Il terzo capitolo funge da “ponte”, collegando la brevettualità (fotografata da lontano nella sua interezza) alla linguistica, focalizzando l’attenzione sul mercato della traduzione brevettuale odierno e cercando di inquadrarne le prospettive future: è un mercato di nicchia probabilmente destinato a essere ridotto, data la tendenza sempre più spiccata, in seno all’Unione Europea, a diminuire i costi risparmiando sulle lingue considerate “minori”.

Nel quarto capitolo si analizza il linguaggio utilizzato nei brevetti circostanziandone le tipicità di stile e lessico sulla base delle modalità espressive relative ai testi tecnico/scientifico e legale/burocratico.

Nel quinto capitolo si analizza la traduzione del brevetto su fronti differenti, nel tentativo di cogliere una varietà di aspetti significativa e desunta da diversi punti di vista: approccio alla traduzione, fattori interni ed esterni al testo, esempi incentrati sulle peculiarità linguistiche e sui diversi linguaggi settoriali, l’importanza della Qualità (con la “Q” maiuscola per il rispetto che merita!), e impostazioni di lavoro che potranno fornire ulteriori elementi di supporto al traduttore. Chiude il capitolo un esempio di glossario tecnico italiano/inglese.

Per semplicità di illustrazione, e per la superiorità numerica dei documenti brevettuali scritti in lingua inglese, gli esempi saranno portati nella combinazione inglese (LP, lingua di partenza) – italiano (LA, lingua di arrivo).

Continua a leggere, vai al capitolo “Che cosa è il brevetto?“.

Buona lettura!
Federico Perotto