Le lingue straniere nell’Italia risorgimentale
Federico Perotto
Education et Sociétés Plurilingues n° 22 – juin 2007 (pp. 7-16)
Le lingue straniere nell’Italia risorgimentale
La situation des langues êtrangères en Italie pendant le 19ème siècle a pu être présentèe ici grâce au travail de Bernardino Biondelli, que l’auteur de cet article a récemment dècouvert en consultant la Nuova Enciclopedia Popolare (Turin, 1846).
The situation of foreign languages in Italy during the mid-19th century is presented here thanks to the work of Bernardino Biondelli, which the author of this article recently discovered when consulting the Nuova Enciclopedia Popolare (Torino, 1846).
La Sacra di San Michele, monumento simbolo della regione Piemonte, storico punto di osservazione elevato tanto in senso fisico, quanto religioso e culturale. Qualche anno fa ho avuto l’opportunità di lavorare nella biblioteca di questa abbazia, centro d’incontro di idee e persone di ogni lingua, e talvolta vi faccio ritorno. L’ultima volta mi sono soffermato sulla Nuova Enciclopedia Popolare, ovvero Dizionario Generale di Scienze, Lettere, Arti, Storia, Geografia, ecc. ecc. edita a Torino da Giuseppe Pomba e Comp. Editori nel 1846. Un’opera eccezionale per lo sforzo divulgativo. Dalla nota degli Editori:
Nel dare a questa nostra Enciclopedia il titolo di Popolare, seguendo l’esempio di quella di Glasgovia, che è una delle principali che ci proponiamo d’imitare, dobbiamo far avvertire che non intendiamo con dò di consacrare esclusivamente l’opera nostra al volgo, adattandola in tutto alla sua intelligenza. L’Enciclopedia nostra è al contrario specialmente destinata alle persone di civil condizione e di qualche cultura che bramano istruire se stesse e la gioventù alla cui educazione presiedono; e volentieri l’avremmo chiamata Enciclopedia delle Famiglie, se la denominazione di Popolare non rispondesse meglio al nostro intendimento, anche per riguardo alla discretezza del prezzo che la rende di facile acquisto all’universale.
Questo per giustificare la scelta dell’aggettivo “popolare”. Sono anche interessanti, e quantomeno attuali, le prime righe della presentazione dell’Opera:
Chiunque si faccia attentamente a considerare la tendenza del secolo in cui viviamo e ad osservare come l’istruzione sia oramai divenuta un vero bisogno per tutte le classi della società, si convincerà di leggieri non potersi far cosa più utile all’universale, del diffondere quelle opere che offrono quasi un compendio di tutto l’umano sapere, e sono, per cosi dire, la statistica dell’incivilimento.
La curiosità nei confronti della linguistica mi porta subito a cercare informazioni e curiosità sull’italiano. Sono nel tomo settimo sotto la voce Italia (Lingue e Dialetti d’), a cura di Bernardino Biondelli (nota della Direzione: “[…] che l’Italia già saluta fra i più illustri scrittori italiani di linguistica”), e vi trovo alcuni elementi di interesse storico, a partire dall’origine della lingua, sotto la voce Latino:
Egli è inoltre assai verisimile, che a formare questa lingua universale ed atta a provedere ai moltiformi bisogni di una grande nazione nascente, ogni singolo popolo aggregato contribuisse colla propria favella primitiva ad accrescerne i materiali, introducendovi colle nuove idee proprie, colle nuove cognizioni e coi propri costumi, eziandio i segni convenzionali atti a rappresentarle. Ed è altresì naturale e fuor d’ogni dubbio che, mentre in forza dell’unità del governo, del culto e dell’interesse comune, la stessa lingua a poco a poco si generalizzava presso tutte le singole popolazioni italiche, ciascuna dal canto suo dovesse parlarla a suo modo, vale a dire colla distintiva sua pronuncia, colla propria sintassi, e serbando un maggiore o minor numero d’idiotismi e di voci proprie della rispettiva lingua primitiva, elementi indistruttibili, così presso le rozze, come fra le colte nazioni. Di qui appunto ebbe origine quella molteplice varietà di dialetti, che distinse in ogni tempo in Italia tanti popoli estranei fra loro, e le cui discrepanze di suono, di radici e di forma segnano tuttavia più o meno precisamente i confini della prisca etnografia italiana.
L’autore esamina nascita, vita e morte del Latino, e passa quindi all’analisi della lingua italiana, presentando il lungo periodo di transizione che porterà a una prima codifica di quest’ultima. Questo processo fu arricchito da un notevole apporto esterno:
Prima di procedere nell’incominciata disamina è d’uopo ancora avvertire, come nel volgere dei secoli, prima e dopo la formazione dell’italiana lingua scritta, oltre agli accennati popoli settentrionali, che invasero la penisola, e vi si fusero cogli indigeni, altre straniere nazioni, varcando e rivarcando da ogni parte le inutili sue naturali barriere, o vi dettassero alternamente le proprie leggi, o vi fondassero stabili colonie che serbarono in parte incontaminati i costumi e la lingua loro, o vi consolidassero un potere che in alcune parti durò sino a dì nostri. Tali furono precipuamente i Teutoni e gli Slavi, che penetrarono in Italia dal Settentrione; gli Arabi dal Mezzogiorno; gli Albanesi, i Greci ed i Valacchi dall’Oriente; i Francesi, i Catalani e gli Spagnuoli dall’Occidente; per modo che, non solo l’immediato commercio con tanti popoli di differenti linguaggi introdusse nei nostri dialetti radici e forme straniere, ma vi si stabilirono eziandio nuove lingue, le quali, oltre ai dialetti indigeni ed all’idioma scritto generale, vi sono in varie parti distintamente parlate.
Introduzione al capitolo sulle lingue straniere d’Italia
Ed ecco l’introduzione alla parte che più ho trovato affascinante: la conoscenza e la percezione di un linguista italiano in pieno periodo risorgimentale circa le lingue non-italiane presenti sul suolo nazionale in quel dato periodo storico, così pregno di eventi fondamentali per la formazione dello Stato unitario, considerandone il contributo alla nostra lingua, la localizzazione geografica e la storia. Un breve accenno merita il capitolo relativo ai dialetti, qui divisi in otto famiglie: Carnica, Veneta, Gallo-Italica, Ligure, Tosco-Latina, Sannitico-lapigia, Bruzio-Sicula, e Sarda.
Oltre alle numerose favelle sin qui enumerate, ed alle quali esclusivamente s’addice il nome d’italiche, altre lingue sono da lunga stagione pariate, entro i naturali confini della nostra penisola, da popoli i quali, sebbene stranieri d’origine e di costumi, hanno pure acquistato, mercè un soggiorno di più secoli, il diritto all’italiana cittadinanza. Tali popoli sono in maggiore o minor numero diffusi in vari angoli d’Italia, e perciò volendo procedere con chiarezza nella enumerazione dei medesimi, li abbiamo raccolti in tanti gruppi quante sono le lingue da loro parlate. Procedendo quindi coll’ordine stabilito da settentrione a mezzogiorno, questi gruppi sono otto, vale a dire: il germanico, lo slavo, il francese, il valacco, il catalano, il greco, l’albanese e l’arabico; ai quali aggiungeremo per ultimo gli Ebrei, gli Armeni ed i Zingari, che diffusi per tutta l’Italia, rimasero, per varietà di culto, o di lingua e di costumi sempre stranieri nei luoghi da loro per vari secoli abitati.
Dialetti germanici
Presento ora alcuni passaggi relativi alla trattazione delle singole famiglie linguistiche identificate dall’autore, seguendo l’ordine da lui enunciato, iniziando quindi con i dialetti germanici.
Varie sono le colonie germaniche da rimotissimi tempi stanziate nella parte più settentrionale della penisola, le quali, avuto riguardo alla varietà dei rispettivi dialetti dividonsi in burgundi e bavari.
Burgundi
Dalla vetta del Monte-Rosa scendono verso mezzogiorno ed oriente, quasi raggi concentrici, alcune valli, fra loro disgiunte da erte costiere d’inospiti monti, le quali dai rapaci torrenti che le percorrono presero i nomi di Val Lesa, Val Sesia, Val Sermenta, Val Mastallone e Val Anzasca. I loro abitanti, sebbene soggetti al governo di Piemonte, ed attorniati in parte da Italiani, rivelano germanica origine nella fisica loro costituzione, nella foggia del vestire, nel modo di fabbricare le abitazioni, in molti costumi domestici e rurali, e finalmente nei loro dialetti, ancorché in massima parte italiani. Ciò nonpertanto il continuo contatto ed il commercio cogli Italiani circostanti, e la preponderante influenza del governo, nel volgere dei secoli, hanno reso quasi impercettibili queste tracce nella parte inferiore di tutte quelle valli, cancellandovi l’impronta caratteristica della lingua, alla quale furono sostituiti i più vicini dialetti italiani, che vi sono per altro parlati con germanica pronuncia; e solo vennero serbati i dialetti tedeschi, con alcuni speciali costumi, nei villaggi più elevati, presso i perpetui ghiacci del Rosa. […] E siccome, dacché il sodale progresso tende a ravvicinare ed unire in una sola famiglia tanti popoli d’origine varia, disgiunti da enormi distanze e naturali barriere, anche questi montani linguaggi dileguano rapidamente, cedendo il posto alle lingue prevalenti della massa centrale, così egli è pur dimostrato, che farebbe cosa utile alla scienza quegli che raccogliesse, finché si può, e salvasse dall’oblio tante reliquie dei costumi d’un popolo celebre nella storia, a monumento della sua origine e dispersione.
Bavari
Seguendo verso oriente la naturale barriera dell’Alpi, entriamo nel vasto bacino dell’Adige, ove Salurno e le sue valli laterali segnano la divisione della stirpe italiana dalla teutonica. […] A monumento di questa antica diffusione della stirpe germanica, rimangono, in alcuni punti elevati dei monti che racchiudono questi due fiumi, diversi villaggi, i quali serbano tutt’ora antichi dialetti e costumi germanici, e formano quasi altrettante isole tedesche nel mezzo dell’italica famiglia. Questi villaggi politicamente appartengono, parte al Tirolo italiano, parte alle Venete provincie di Verona e di Vicenza […].
Dialetti slavi
Come i Tedeschi a settentrione, colà gli Slavi penetrarono in Italia ad oriente e vi à stabilirono sopra più vasta regione. Al di qua delle Alpi infatti essi occupano la massima parte dell’Istria e quasi tutta la regione montana racchiusa fra le Alpi Carniche e l’Adriatico; per modo, che per quest’angolo orientale d’Italia, con più di ragione può chiederà, quali colonie italiane o straniere siano frammiste agli Slavi! Questi, avuto riguardo ai dialetti che parlano, dividonsi in Istriani, o Serbo-Illirii, e Slovenzi, o Vindo-Illirii. I primi occupano propriamente la penisola istriana, le cui città e borghi principali solamente sono abitate da una miscela di genti che parlano veneti dialetti. I secondi sono diffusi a settentrione della penisola stessa, dall’adriatico presso il Timavo sino alle Alpi Cantiche, in tutto il circolo di Gorizia, d’onde si estendono ad occidente sin per entro la Veneta provincia del Friuli, ad oriente ed a settentrione sin nella Carniola e nella Carinzia, formando una sola stirpe cogli abitanti di queste due regioni. Parlando di questi popoli, non tenteremo alzare il velo che ne copre le origini, né molto meno vi faremo ad indagare il tempo in cui à stabilirono in queste terre. Basterà accennare, come parecchie circostanze concorrano a farlo credere assai rimoto, e rendano verisimile l’origine slava di alcune popolazioni italiche settentrionali. – L’antica diffusione di nazioni slave, nelle Venete provincie al di qua dell’Isonzo, viene fatta manifesta da molti nomi di villaggi, città, monti, fiumi e torrenti, di non dubbia origine slava. A monumento irrefragabile di questo fatto, trovanti ancora nel Friuli, frammezzo agli Italiani, poche reliquie di Slavi, che vi serbano nazionali costumi ed un corrotto dialetto della lingua vinda, o slovenza. […].
Dialetti francesi
La numerosa popolazione di tutte le valli cisalpine comprese fra la catena del Monte Bianco e il Monte Rosa, sebbene geograficamente e politicamente italiana, parla tuttavia un dialetto corrotto della lingua francese meridionale, distinta dagli scrittori col nome di lingua d’oc. Ea coltiva specialmente le scoscese valli di Challant, Pellina, Ferrex, e la principal valle d’Aosta, della quale tutte le altre sono altrettanti rami collaterali, sino al grosso borgo di Châtillon, che sulla strada postale divide i dialetti piemontesi dai francesi. Questo popolo, lungi dall’essere una colonia straniera colà trapiantata in tempi meno remoti, altro non è, se non una delle primitive celtiche tribù, che ripartivansi ai tempi della romana repubblica il settentrione d’Italia; e deriva da quei bellicosi Salassi che, sottomessi da Augusto, ricevettero sin d’allora colla legge anche la lingua latina. Più tardi furono da Carlomagno aggregati al franco dominio, ed allorché questo fu ripartito fra i suoi successori, gli Augustani o Aostani, cogli abitanti delle vicine valli, sino alla costiera che divide la valle Challant dalla val Lesa, formarono parte del regno di Francia propriamente detto, mentre la val Lesa e le successive convalli del Rosa appartennero al regno germanico. Della quale antica divisione politica sono mirabile monumento e testimonio gli idiomi francese e tedesco tuttavia superstiti, e colà separati dalla medesima costiera di monti. Finalmente, dopo lunga e volubile vicenda, passarono gli Aostani sotto la signoria dei conti di Savoia, e si serbarono fedeli a quella Casa sino ai dì nostri. Per tal modo vi fu a poco a poco introdotto e radicato un dialetto romanzo, che da principio assimilatasi a quelli della vicina Savoia, e più tardi fu corrotto da voci ed idiotismi piemontesi, dacché il ducato d’Aosta venne aggregato al governo di Piemonte. Questo dialetto estendevasi, non ha guari, in tutta la parte meridionale della stessa valle, come attestano i nomi di quasi tutti i villaggi disposti sulle due rive della Dora, quali sono: Saint-Vincent, Ussey, Chamlon, Montjouet, Bard e simili. Ne fanno fede altresì i rispettivi dialetti commisti di voci ed idiotismi francesi. Se non che tutte queste tracce vi si vanno di continuo cancellando, per l’influenza del commercio e del governo; il dialetto piemontese vi acquista tutto giorno nuovo terreno, ed è già penetrato sin nel cuore della classe più elevata della capitale; sicché egli è assai probabile, che un giorno eziandio questo estremo lembo sia per divenire in tutto italiano.
Dialetti valacchi
Quando il musulmano torrente, irrompendo dall’Asia, irrigò di cristiano sangue le orientali regioni d’Europa, […] una folla di nazioni atterrite cercò scampo nelle vicine province. Greci, Albanesi, Bulgari, Serbi e Valacchi, dalla Mesia, dalla Macedonia, dall’Epiro e dalla Tessaglia, si sparsero in gran numero […]. I Valacchi propriamente si diffusero in massima parte nell’antica Dacia in Transilvania, e per entro i comitati meridionali dell’Ungheria. Alcune piccole colonie per altro, percorrendo l’Illirico, s’innoltrarono sino alla penisola istriana da noi compresa entro i naturali confini d’Italia. Sebbene appaia, che da principio vari fossero i gruppi di fuggitivi colà ricoverati, ciò nullostante i soli abitanti del piccolo villaggio di Cepich, nel distretto di Bellay, serbano ancora i costumi e la lingua dei loro padri. Il dialetto da loro parlato è affatto simile a quello dei Valacchi di Temesvar nel Banato, ciò che rivela il primitivo loro vincolo di consanguineità con quella numerosa nazione. Affatto privi di coltura, esercitano quasi esclusivamente la pastorizia. Reliquie d’una colonna valacca sembrano ancora nell’Istria gli abitanti di Degnano e di Valle, i quali dagli Slavi che li circondano sono chiamati Latini. Questi conservano un particolar modo di vestire diverso da tutti gli altri della penisola, e parlano un dialetto italiano distinto dal veneto delle altre città, lungo il litorale istriano. Siccome per altro molto affine ai dialetti di Degnano e di Valle è altresì quello che parlano gli abitanti di Rovino, così sembra più verisimile, che queste popolazioni, anziché appartenere alle moderne immigrazioni, derivino dalle antiche romane colonie stabilite quasi ad un tempo nell’Illiria e nella Dacia, le quali conservarono, a traverso tante vicende, l’antico romano dialetto, diverso perciò dal veneto parlato nella stessa penisola, ivi trapiantato più tardi col dominio della veneta repubblica. Traccia dell’esistenza d’altra colonia valacca trovasi infine nella vicina Isola di Veglia alla distanza di quattro miglia dall’antica Coritta, in alcune vallette, distinte nel linguaggio dell’isola col nome di Polizze. Ivi alberga una pacifica famiglia di circa 800 individui, i quali, sebbene informati sui costumi illirici ed avvezzi all’illirica favella, serbano tuttavia un’oscura tradizione, che un tempo gli avi loro parlassero un latino sermone.
Dialetti albanesi
Il ragguardevole numero degli Albanesi e dei Greci stanziati da secoli nell’Italia meridionale, e la somma discrepanza dei loro costumi da quelli dei popoli italiani che li circondano, attrassero più volte l’attenzione degli scrittori, sicché furono pubblicate in vari tempi più o meno estese relazioni intorno alla loro origine ed alla loro apparizione in Italia. Se non che il rito greco-unito professato un tempo dal massimo numero, la contemporanea esistenza di nazioni diverse nelle medesime regioni, la provenienza loro dalla Grecia o dalle terre limitrofe, e l’ignoranza delle loro lingue in quelli che impresero ad illustrarle, diedero origine alle più disparate opinioni. […] Gli Albanesi, che formano la massa principale, erano un tempo in numero assai maggiore, mentre coll’avvicendarsi delle generazioni obliarono in parte i primitivi costumi, e si fusero cogli indigeni. Ciò nulladimeno quelli che vi conservarono sino ai dì nostri lingua e costumi nazionali sono ancora in numero considerevole, ammontando quasi ad ottantasei mila individui. I luoghi da loro esclusivamente abitati sono i seguenti: [segue una lista in cui l’autore precisa il numero degli abitanti dei luoghi e delle relative diocesi in cui si parlava albanese nella Calabria Ulteriore e Citeriore, in Basilicata, nella Capitanata, nella terra d’Otranto, nell’Abruzzo Ulteriore e nell’isola di Sicilia]. […] Essendo venuti separatamente in Italia, e in vari tempi, senza beni, non poterono mai formare un corpo nazionale, né abitare un’intera città; ma, dispersi per le valli e per le montagne, in piccoli ed appartati villaggi, rimasero estranei al progressivo incivilimento. Il loro culto era in origine greco-scismatico; ma prevalse l’influenza dei vescovi latini, per modo che quasi due terzi sono attualmente cattolici. La loro lingua è l’epirotica, detta ancora albanese o skipetar, divisa però in più dialetti, da poi che non solo vi si distinguono i vari dialetti mirdita, liapo, tosco e sciamuro, ma ancor l’idrota, e sì l’uno che gli altri vi sono corrotti d’italiano, di arabo o di greco, a norma delle circostanze che li accompagnano.
Dialetti greci
Se rammentiamo, che l’Italia meridionale era un tempo abitata da Greci coloni, dai quali ricevette l’antico nome di Magna Grecia; che gli imperatori bizantini nei secoli di mezzo vi fondarono per ben due volte stabile dominio, e che il solo mar Ionio la separa dalla Grecia, non saremo sorpresi, trovandovi anche ai dì nostri numerose greche colonie. Se non che, le molte vicende, alle quali nel volgere dei secoli andò soggetta, e le successive invasioni di Romani, Arabi, Normanni, Francesi e Spagnoli, agitando e fondendo le varie stirpi, distruggendo gli storici monumenti, sparsero un fitto velo sulle origini di tanti popoli […] La varia alterazione dei loro dialetti, e la mescolanza delle moderne colonie colle antiche, non ci permettono di precisare il tempo del rispettivo loro stabilimento in Italia; solo noteremo, come, interrogando gli scrittori ed i documenti dei vari tempi, consti non dubbia la presenza di greche colonie, dai tempi più rimoti sino ai dì nostri, nella parte più meridionale della nostra penisola, e come si possa quindi con fondamento conchiudere, che buona parte di esse sono reliquie d’una popolazione molto più numerosa, colà da oscuri tempi stabilita, e che, mentre dall’una parte, coll’avvicendarsi delle generazioni, molti perdettero il primitivo linguaggio, adottando i costumi italiani, altri invece formarono quasi un nocciolo, intorno al quale molti esuli posteriori successivamente si raggrupparono. Altra piccola colonia di Greci Mainoti trovasi stanziata nel villaggio di Cargese in Corsica, poco discosto da Ajaccio. La loro lingua da principio era la romaica ossia greca moderna; ma l’incessante commercio coi vicini isolani li costrinse a far uso dell’italiana e della francese, che parlano con pari facilità, riserbando la nativa solo fra le domestiche pareti.
[NdA: qui è interessante notare come l’autore consideri implicitamente la Corsica come una regione italiana, dato l’inserimento di tali osservazioni in questo capitolo dell’enciclopedia, nonostante l’isola, precedentemente dominio genovese, fosse stata acquisita dalla Francia già nel 1768. Per un approfondimento sullo stato attuale delle parlate greche in Italia, si può consultare l’articolo di Stefano Como (Education et Sociétés Plurilingues n. 14 – juin 2003 – pp. 47-56)].
Dialetto catalano
Il viaggiatore, che percorrendo la penisola udì frammisti al poetico accento italiano i suoni teutonici, slavi, francesi, valacchi, albanesi e greci, non sarà meno sorpreso, approdando nelle varie sue isole, d’incontrarvi ancora I’amoroso linguaggio degli antichi giullari, e il rauco accento dell’arabo del deserto […] troviamo la città e i contorni d’Alghero abitati da una ragguardevole colonia di Catalani, i quali, sebbene attorniati da italici dialetti, e retti da italiche leggi, vi conservano la patria lingua ed i costumi spagnoli. Questa colonia prese stabile dimora sin dall’anno 1354, in cui Pietro IV re d’Aragona, scacciandone i Genovesi, unì quel territorio ai propri dominii. Penetratavi in tal modo, e divenuta dopo alcune generazioni indigena del suolo conquistato col sangue, e dirozzato col sudore de’ suoi maggiori, vi serbò quasi incontaminato il retaggio nazionale ancora dopo che la volubile dispensiera dei regni la sottomise a dominio straniero.
Dialetti arabi
L’isola di Malta [NdA: curiosamente, qui è citata come se fosse italiana], del pari che tutte le altre del Mediterraneo, soggiacque a vicenda all’antica dominazione dei Fenici, dei Greci e dei Romani. Caduto l’impero, fu conquistata sin dalla metà circa del secolo VII dai Saraceni, onde vi si formò un’araba colonia, la quale, in cinque secoli di dominazione, vi stabilì coi propri costumi anche la lingua. Nell’anno 1127, gli abitanti del litorale, stanchi del decrepito governo saraceno, ed infiammati da zelo di religione, insorsero contro i dominatori, cd, assistiti dal conte Ruggero di Sicilia, riuscirono in breve a liberarsi. Per tal modo cangiarono col governo eziandio il culto; ma la favella, che avea gettato profonde radici in tutta la popolazione di Malta e di Gozzo, rimase a monumento dell’arabo dominio. […] Varie e strane furono le opinioni dei dotti, che scrissero intorno alla medesima; con tutto ciò dalle più recenti osservazioni emerse chiaro, esser ella un dialetto della lingua araba occidentale, ossia africana, misto di voci tolte soprattutto alle lingue latine. Questo dialetto è parlato con maggior purezza negli interni villaggi, detti Casali, nei quali la pronuncia è varia; ma non così, che vi si possano discernere dialetti differenti. Nella città di Valletta poi, capoluogo dell’isola e residenza del governo, il dialetto arabo è relegato tra il volgo, mentre la lingua civile è italiana. […] Finalmente restano tracce d’un’antica araba colonia nella provincia Sulcitana in Sardegna, i cui abitanti, ancora detti Maurelli, sono risguardati da alcuni come discendenti di quei Mauri, che, per testimonianza di Procopio, espulsi dall’Africa ai tempi di Belisario, furono deportati in Sardegna, e si stabilirono fra i monti prossimi alla metropoli dell’isola. Sebbene però la costituzione fisica, i costumi e la pronuncia dei Maurelli concorrano in favore di quest’opinione, ciò nullaostante, avendo essi da lunga età adottati i costumi e la lingua dei Sardi, non possiamo annoverarli fra i coloni stranieri.
Come da premessa, è poi dato un accenno alle minoranze ebraica, armena e zingarica, in realtà citate con osservazioni non tanto di ordine linguistico, quanto di tipo “sociologico’’: può comunque risultare interessante presentarne alcuni passaggi, per completezza d’esposizione.
Lingua ebraica
Gli Ebrei, che colla loro diffusione sulla massima parte dell’orbe, porgono uno de’ più interessanti fenomeni nella storia delle umane stirpi, sono sparsi altresì in gran numero sulla nostra penisola, ove abitano principalmente le città ed i porti marittimi, formandovi quasi altrettante colonie separate, raccolte per lo più in appartati quartieri, e professandovi il culto mosaico. Il loro numero ascende ad oltre quaranta mila individui, ripartiti in varia proporzione in ogni Stato, eccetto il regno delle Due Sicilie. […] Se antichissimo è il loro stabilimento in Italia, non tutte però le attuali colonie vi penetrarono ad un tempo; ed è provato, come il maggior numero vi si succedesse a poco a poco, da varie parti d’Asia e d’Europa, di mano in mano che le persecuzioni religiose gravitarono sopra di loro. Per notare alcune epoche principali, accenneremo, come al tempo delle crociate, perseguitati e proscritti a morte in Germania, molti Ebrei cercassero rifugio in Italia. Altri vi approdarono più tardi dal Portogallo, ed altri dalla Spagna, dopo che il celebre editto di Filippo II li proscrisse dalla penisola iberica, d’onde ricoverarono nei principali porti del Mediterraneo e dell’Arcipelago, risospinti dal loro destino sino a Costantinopoli ed in Asia. Perciò appunto distinguonsi ancora nel culto mosaico in Italia quattro diversi riti, l’italiano cioè, il tedesco, lo spagnolo ed il portoghese […].
Lingue armena e zingarica
Ci resta ancora a far menzione delle lingue proprie degli Armeni e degli Zingari, i quali, sebbene propriamente non formino separate colonie in Italia, perché sparsi ed erranti, ciò nulladimeno, per la loro dimora continua da più secoli, formano parte della sua popolazione. Gli Armeni, dopo la distruzione del regno loro in Asia, avvenuta nel primo periodo del secolo XV, si disseminarono nelle occidentali regioni d’Europa, e precipuamente cercarono asilo nei vicini imperi di Russia e d’Austria. Un ragguardevole numero di questi esuli passò da quel tempo in Transilvania, in Ungheria ed in Gallizia, ove occupano oggidì interi villaggi, e popolano alcune città. Altri si diffusero in pari tempo lungo le spiagge del Mediterraneo e dell’Adriatico, nei principali porti di Grecia, di Spagna, di Francia e d’Italia, affidando ad un esiguo commercio la propria esistenza; onde qualche centinaio vive ancora sparpagliato nei porti di Trieste, Venezia, Genova, Ancona, Livorno, Napoli e Palermo. […] I Zingari erano un tempo diffusi nella penisola in numero assai maggiore, che non ai dì nostri; mentre, dopo che provide leggi posero un freno al vagabondaggio, la maggior parte di questi nomadi Indiani si disperse per entro le foreste dell’Ungheria e della Germania, ed appena qualche centinaio è ancora superstite fra le montagne dell’Istria e della Calabria. Poche famiglie vivono eziandio erranti negli Stati pontifici, nel regno Lombardo-Veneto o nel vicino di Sardegna, conservandovi colla rapina e col vagabondaggio una misera e precaria indipendenza.
Conclusioni
A terminare questo excursus, Biondelli invita gli studiosi ad approfondire questo tipo di analisi linguistica tramite una aperta collaborazione con i colleghi delle varie zone d’Italia:
Riserbardoci impertanto a svolgere di proposito su tela più vasta, e a documentare con irrefragabili documenti il prospetto sin qui sbozzato delle lingue indigene e straniere pariate nella nostra penisola, invitiamo i nostri compagni di studio, ai quali sono del pari note la molteplice importanza e la somma difficoltà di simili ricerche, ad istituire serie meditazioni sul linguaggio dei rispettivi paesi, giacché solo dal fraterno consorzio di parecchi studiosi d’ogni regione è dato sperare di veder compiuta un giorno la raccolta di quelle notizie, che soprattutto sono atte a rischiarare la primitiva istoria della patria comune.
Nonostante il lettore odierno possa riscontrare limiti scientifici e divulgativi dell’analisi qui condotta da Bernardino Brindelli, giunto alla fine di questa esposizione ne sono stato comunque arricchito, convinto che si tratti di una testimonianza estremamente interessante per capire quale fosse la percezione e la conoscenza sociolinguistico-geografica nell’Italia di metà Ottocento.
Note biografiche su Bernardino Biondelli
Nato a Volon di Zevio il 14 marzo 1804, dopo aver insegnato matematica, storia e geografia nelle scuole di Verona e di altre città del Veneto, si trasferisce a Milano nel 1839, collaborando al Politecnico e ad altre pubblicazioni con saggi di linguistica; gli scritti fino al 1845 sono raccolti negli Studii linguistici; negli anni successivi si interessa di indoeuropeistica e dialettologia, precorrendo in molti punti il più noto linguista Graziadio Isaia Ascoli. Nel 1849 entra, grazie alle sue competenze, nel Gabinetto Numismatico Braidense, restandone conservatore fino al 1883; nel 1869 pubblica La Zecca di Milano. Si occupa di archeologia (materia di cui è nominato professore all’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano dal 1859 al 1884), e di linguistica delle culture precolombiane d’America, pubblicando le sue ricerche tra il 1858 e il 1869. Muore a Milano l’11 luglio 1886, dove è ricordato con una lapide infissa sulla facciata della chiesa di S. Marco, in via Fatebenefratelli, nel quartiere di Brera.