La traduzione multilingue: una testimonianza dal settore della traduzione brevettuale in Europa

Federico Perotto
Synergies Italie n° 9 – 2013 pp. 153-162

La traduzione multilingue: una testimonianza dal settore della traduzione brevettuale in Europa Federico Perotto

La traduzione multilingue: una testimonianza dal settore della traduzione brevettuale in Europa

Riassunto : All’interno dell’Unione europea si continuerà a praticare il multilinguismo integrale, si passerà a un regime di multilinguismo limitato, o si finirà in un monolinguismo fondato sulla lingua inglese? I dibattiti che si sono aperti nei Parlamenti al momento della ratifica del protocollo di Londra nel primo decennio di questo secolo, e che dal 2010 hanno riacceso la passione per la difesa di lingue importanti e tuttavia considerate di secondo piano quali l’Italiano e lo Spagnolo, hanno avuto il merito di far uscire la traduzione brevettuale dall’ambito degli addetti ai lavori in cui era confinata, facendone un esempio significativo del contrasto fra multilinguismo integrale, multilinguismo limitato e monolinguismo basato sull’inglese.

Parole chiave: Multilinguismo, Traduzione, Brevetto

La traduction multilingue: un témoignage du secteur de la traduction des brevets d’invention en Europe

Résumé : Dans l’Union Européenne, continuera-t-on la pratique du multilinguisme intégral ou ira-t-on vers un multilinguisme partiel, ou encore aboutira-t-on au monolinguisme fondé sur l’anglais ? Les débats ouverts dans les Parlements des pays adhérents, alors que le protocole de Londres a été ratifié, ont relancé la défense passionnée de langues comme l’italien et l’espagnol, désormais considérées mineures. De plus, ces débats ont eu le mérite de faire sortir la question de la traduction des brevets du milieu des experts et d’en faire un cas exemplaire du contraste entre multilinguisme intégral, multilinguisme partiel et monolinguisme fondé sur l’anglais.

Mots-clés : Multilinguisme, Traduction, Brevet

Multilingual translation: an account from the patent translation sector in Europe

Abstract: What will happen in the European Union? Will multilingualism be still practiced or will it be limited to some languages? Or maybe, will multilingualism turn to English-based monolingualism? The debates which took place during the ratification of the London protocol in the first decade of this century, and which have led to the defense of important language such as Spanish and Italian since the year 2010, have changed the way patent translation is dealt by making it a meaningful example of the contrast between integral multilingualism, limited multilingualism and English-based monolingualism.

Keywords: Multilingualism, Translation, Patent

Un argomento di attualità

Una volta invitato come relatore al Convegno «Il plurilinguismo in azienda: una sfida per il futuro» mi sono chiesto perché fosse stato scelto questo argomento, come campione della traduzione in ambito imprenditoriale, industriale, produttivo. La risposta che ho elaborato è piuttosto articolata, ma coerente con gli obbiettivi di questa eccellente iniziativa: perché è un argomento di estrema attualità, paradigmatico di un rapporto intenso e quotidiano tra plurilinguismo e realtà delle PMI (Piccole e Medie Imprese, anche note internazionalmente sotto la sigla SME – Small and Medium Enterprises), molte delle quali fondano la propria attività su intangible assets quali la proprietà intellettuale/industriale e i diritti su brevetti, marchi e design.

Inoltre, la traduzione brevettuale è investita più di qualsiasi altro campo traduttologico da tre ordini di dibattiti sviluppatisi negli ultimi anni. Citando Fabrizio Megale, dalla premessa a La traduzione brevettuale (Perotto, 2008:9):

  1. la scelta politica se continuare, nei diversi ambiti della UE, a praticare il multilinguismo integrale o se passare ad un regime di multilinguismo limitato e persino, in alcuni campi specifici, a un monolinguismo fondato sulla lingua inglese;
  2. il rapporto fra traduzione tecnica e traduzione giuridica, poiché la traduzione brevettuale si trova alla confluenza di entrambe ed è emblematica della permeabilità fra discipline tipica del nostro tempo;
  3. l’affermazione dell’inglese come lingua franca del diritto, ma non già dell’inglese giuridico britannico o americano, bensì dell’inglese «lingua neutra» o «lingua mista» svincolata dagli ordinamenti nazionali di origine.


I documenti brevettuali

La documentazione brevettuale esiste intorno al suo tema centrale, ovvero l’invenzione, e consiste nei documenti che vanno depositati presso l’ufficio competente per ottenere la concessione del brevetto. Una parte di tali documenti è destinata all’individuazione dell’invenzione (c.d. «descrizione», costituente in genere il 90% del documento, in termini di parole complessive) e un’altra parte alla precisazione dei connotati inventivi per i quali si richiede protezione giuridica (c.d. «rivendicazioni», costituenti circa il 10% del documento). Ne segue che le rivendicazioni, in connessione con la descrizione, identificano l’invenzione oggetto della tutela e delimitano l’ambito di protezione del brevetto, rendendo palese ai terzi quali attività ricadono nell’ambito della tutela brevettuale e sono pertanto illecite.

Per poter essere depositata in sede europea (assumendo status di «brevetto europeo»), vale a dire presso l’agenzia non governativa EPO (European Patent Office, anche UEB: Ufficio Europeo dei Brevetti) una domanda di brevetto deve disporre di una versione della descrizione in una lingua a scelta fra inglese, francese e tedesco; le rivendicazioni vanno però pubblicate in tutte e tre queste lingue. Dopodiché, per ottenere copertura nei singoli stati, fino al 2008, erano necessarie in tutta la CEE le versioni tradotte nelle singole lingue nazionali.


I costi della traduzione brevettuale

I costi della traduzione delle domande di brevetto sono elevati; è assai più dispendioso brevettare un’invenzione in Europa rispetto agli Stati Uniti o in Giappone. La traduzione qui costituirebbe, secondo alcuni, un ostacolo alla ricerca, allo sviluppo e all’innovazione.

Per risolvere questo problema, nel Libro verde sul brevetto comunitario e sul sistema dei brevetti in Europa – promuovere l’innovazione tramite il brevetto (1), presentato dalla Commissione nel 1997, sono state sintetizzate le soluzioni proposte:

  • una prima possibilità è prospettata nella versione originale della Convenzione di Lussemburgo del 1975, che consiste nel limitare la traduzione alle rivendicazioni del brevetto, da depositare all’atto del rilascio del brevetto o poco più tardi, lasciando a ogni Stato contraente la possibilità di chiedere una traduzione del fascicolo del brevetto;
  • una seconda soluzione era stata discussa nell’ambito della Conferenza di revisione della Convenzione di Lussemburgo nel 1989, riscuotendo un consenso piuttosto ampio: permaneva la condizione della traduzione del fascicolo completo, ma, nel caso in cui non fosse stata depositata la traduzione in una o più lingue, l’unica conseguenza sarebbe stata che il brevetto non avrebbe prodotto i suoi effetti nello Stato membro o negli Stati membri interessati e non la decadenza del brevetto comunitario;
  • una terza soluzione possibile in materia di riduzione dei costi di traduzione era la soluzione «globale» elaborata dall’EPO.

Questa conteneva tre elementi fondamentali:

  1. la pubblicazione, contestualmente a quella della domanda o il più presto possibile dopo questa, di una sintesi «accurata» nella lingua procedurale e, successivamente, la traduzione di questa sintesi in tutte le lingue degli Stati membri;
  2. la traduzione delle sole rivendicazioni, all’atto del rilascio del brevetto;
  3. la traduzione di tutto il fascicolo del brevetto a fronte di qualsiasi azione intentata dal titolare per far valere i diritti derivanti dal brevetto.

Le prime proposte di brevetto comunitario

Il 3 marzo 2003 è stato quindi raggiunto un accordo sul Brevetto Comunitario mirato a ridurre drasticamente i costi di traduzione dei brevetti in Europa (2). Tale accordo si basa su una proposta di compromesso che teneva in considerazione alcuni elementi del dibattito oggigiorno di stringente attualità circa l’alto costo del brevetto in Europa, la copertura del brevetto nei Paesi Europei, e la certezza del diritto per controversie riguardanti i brevetti.

Il Brevetto Comunitario darebbe agli inventori la possibilità di ottenere, con una sola richiesta, un singolo brevetto legalmente valido in tutta l’UE a un costo decisamente inferiore rispetto a quello attuale. La riduzione dei costi sarebbe raggiunta principalmente attraverso la riduzione delle lingue ammesse e delle traduzioni. Il regime linguistico del Brevetto Comunitario previsto vede il dominio delle lingue ufficiali dell’EPO, cioè inglese, francese e tedesco. Le domande, quindi, per essere ammesse, dovranno essere redatte in una di queste lingue.

Con la creazione del brevetto comunitario, a differenza del brevetto europeo, si intende dare agli inventori la possibilità di ottenere un brevetto unico giuridicamente e automaticamente valido in tutta l’Unione Europea. I vantaggi derivanti da questo sistema sarebbero i seguenti:

  • una gestione dei diritti molto più facile, priva del passaggio attraverso una fase nazionale, con conseguenti ulteriori riduzioni di spese;
  • il sistema consentirebbe di evitare il moltiplicarsi delle azioni in materia di contraffazione in ogni Stato membro, poiché l’attore potrebbe concentrare le sue azioni nel luogo in cui è domiciliato il convenuto;
  • con l’istituzione di un organo giurisdizionale centrale, competente a pronunciarsi sull’interpretazione e sulla validità del brevetto comunitario, si garantirebbe una maggiore certezza giuridica;
  • una riduzione sostanziale dei costi di brevetto, in particolare di quelli legati alla traduzione e al deposito.

La proposta del 2003 prevedeva la possibilità di presentare la propria domanda di brevetto comunitario nella lingua nazionale, traducendola in seguito in una sola delle lingue ufficiali dell’EPO. Le rivendicazioni, invece, dovranno essere necessariamente tradotte nelle varie lingue nazionali al fine di convalidarne la tutela giuridica. In tale sede è stato inoltre stabilito che, a partire dal 2010 (nelle intenzioni del Consiglio), le controversie relative ai brevetti comunitari sarebbero dovute essere esaminate in primo grado dinanzi ad una camera giurisdizionale unica istituita con decisione del Consiglio e denominata Tribunale del brevetto comunitario associata al Tribunale di Primo Grado delle Comunità europee, delegittimando i tribunali nazionali in materia di proprietà industriale/ intellettuale.

Questo progetto è stato riproposto con forza alcuni anni dopo; nel frattempo è balzato agli onori della cronaca e della brevettualità europea un altro accordo, veicolato e sollecitato con decisione dall’EPO: il Protocollo di Londra.


Il Protocollo di Londra

La conferenza governativa degli Stati contraenti dell’Organizzazione europea dei brevetti sulla riforma del sistema europeo dei brevetti (Parigi 24-25 giugno 1999) ha nominato i due gruppi di lavoro «Regolamento delle controversie» e «Riduzione dei costi», quest’ultimo con il mandato di sottoporre al governo degli stati contraenti un rapporto dimostrante la possibilità di abbassare di circa il 50% i costi risultanti dalle traduzioni dei brevetti europei nelle relative lingue nazionali. Questo gruppo di lavoro ha elaborato una proposta d’accordo sull’applicazione dell’articolo 65 della CBE (Convenzione sul Brevetto Europeo). Ai termini di quest’accordo, tutti gli Stati aventi come lingua ufficiale una delle tre lingue ufficiali dell’EPO rinunciano al loro diritto di esigere, secondo l’articolo 65 della CBE, una traduzione dei brevetti europei nella loro lingua. L’esigenza formulata all’articolo 14 della CBE, secondo la quale le rivendicazioni devono essere tradotte nelle tre lingue ufficiali dell’EPO, è mantenuta. D’altra parte, se uno Stato contraente non ha nessuna lingua ufficiale in comune con l’EPO, esso conserva il diritto di esigere una traduzione delle rivendicazioni in una delle sue lingue ufficiali. Rinuncia però ad esigere una traduzione integrale dell’intero fascicolo (riassunto e descrizione) del brevetto europeo in una delle sue lingue ufficiali, se quest’ultimo è stato rilasciato in una delle lingue dell’EPO che avrà precedentemente designata, oppure se è stato tradotto in questa lingua. Ogni Stato conserva inoltre il diritto di esigere che, in caso di controversia, il titolare fornisca a proprie spese una traduzione completa del brevetto europeo.

Tali regole sono state formalizzate in un documento denominato Protocollo di Londra (London Agreement, ottobre 2000), entrato in vigore il 1° maggio 2008 presso i tredici paesi che l’hanno ratificato, tra cui i tre Stati nei quali è stato registrato il maggior numero di brevetti europei nel corso del 1999 (Germania, Francia, Regno Unito). Questo protocollo non solo intende portare a una massiccia riduzione dei costi di traduzione, ma implica anche che i brevetti europei rilasciati in lingua inglese avranno effetto pure in Svizzera benché non tradotti in nessuna delle sue lingue ufficiali.

Il Parlamento italiano non ha ratificato il Protocollo di Londra, ma le pressioni per una sua implementazione sono notevoli. Leggiamo da documentazione Confindustria (Roma, 1 febbraio 2007) (3):

Per quanto riguarda il regime linguistico, Confindustria sostiene da tempo la necessità di limitare il numero delle lingue ufficiali per abbattere i costi di brevettazione e, come obiettivo finale, di adottare la lingua inglese quale unica lingua, con gli evidenti benefici che ne conseguirebbero quanto ai costi, alla certezza, alla validità e alla rapidità dei processi decisionali. In questa ottica, considerata l’esigenza di adottare in tempi ragionevoli un sistema di tutela giurisdizionale quanto più possibile unitario, l’industria italiana aderirebbe alla proposta, contenuta nel Protocollo di Londra, di un regime basato sulle tre lingue ufficiali di EPO (domanda di brevetto in una delle tre lingue EPO e traduzione delle rivendicazioni nelle altre due lingue). Tali considerazioni ci spingono, in questa fase, a sostenere una rapida approvazione di EPLA (European Patent Litigation Agreement) e del Protocollo di Londra sul regime linguistico, costituendo essi il primo passo concreto nella direzione dell’istituzione di un brevetto comunitario.

Tuttavia, anche se le pressioni per una riduzione dei costi sulle traduzioni sono molto forti e la prevalenza della lingua inglese nei settori scientifici e tecnologici è un dato oggettivo, attualmente per poter depositare una domanda di brevetto in Italia è ancora necessaria una sua versione integrale in lingua italiana. Il Protocollo di Londra è opzionale: gli Stati europei saranno liberi di applicarlo oppure no.

La Francia, un paese anglofilo?

In Francia centinaia di traduttori hanno perso parzialmente o totalmente il lavoro, a causa della ratifica di questo protocollo. Riportiamo la testimonianza diretta tratta da una petizione online raccolta dal sito www.lapetition.be nel mese di maggio 2008:

Le protocole de Londres est un traité qui vise à supprimer la traduction des brevets d’invention. Il a été signé, en 2001, par une majorité de pays de l’Europe du Nord, mais la plupart des pays latins (Espagne, Portugal, Italie, Grèce) et l’Autriche, entre autres, ont refusé de le signer.

À l’origine, quelques multinationales françaises, appuyées par la direction du MEDEF (et non la totalité du MEDEF), ont exercé une pression sur les divers gouvernements successifs, relayant une exigence formulée, il y a une dizaine d’années, par l’Office américain des brevets qui avait déclaré « Il faut que le monde entier comprenne que l’anglais est LA langue en matière de propriété industrielle ». […] Le but annoncé était de réduire les coûts de dépôt d’un brevet européen pour augmenter le nombre de dépôts nationaux, le but avoué étant tout simplement que ces multinationales réalisent une économie substantielle.

Des institutions (Académie française, Académie des sciences morales et politiques, Délégation générale à la langue française, etc.), des professionnels (Compagnie des conseils en propriété industrielle, Association des professionnels de la traduction des brevets d’invention, Association des informaticiens de langue française, Société française des traducteurs, etc.), des associations de défense de la langue française (Défense de la langue française, Avenir de la langue française, etc.) et de nombreux parlementaires, en juin 2001, ont exprimé des avis défavorables et ont souligné les dangers de ce traité. Cependant, à l’issue d’une « mission de concertation », qui n’avait d’autre objectif que d’entériner une décision prise à l’avance, le gouvernement français a signé le protocole de Londres, acceptant ainsi l’hégémonie de l’anglo-américain en matière de propriété industrielle.

Le protocole de Londres entérinerait définitivement la mort de la diversité culturelle et linguistique qui a fait (et qui fait encore, mais pour combien de temps?) la richesse de l’Europe. Le langage scientifique français, qui est actuellement très en pointe dans les divers domaines techniques, disparaîtrait à terme. En effet, une invention ayant, par définition, un caractère novateur, le brevet qui est destiné à la protéger contient presque toujours des mots nouveaux. Renoncer à la traduction des brevets d’invention consisterait à consacrer définitivement l’enrichissement exclusif de l’anglo-américain et à accepter l’appauvrissement des autres langues européennes. Une langue qui n’évolue plus au rythme du progrès technique et scientifique est une langue qui se meurt. Un pays qui traite de l’usage de sa langue en termes de rentabilité est un pays qui a déjà renoncé à sa culture. En ne ratifiant pas le protocole de Londres, la France pourrait s’enorgueillir d’avoir contribué à la sauvegarde et à la promotion d’un vrai plurilinguisme européen et à la construction d’une Europe des citoyens qui pourraient avoir accès aux informations dans leur langue maternelle.

Poche settimane dopo, la Francia ha ratificato il Protocollo di Londra.


Il brevetto comunitario oggi

Nel 2010, la Commissione Europea ha riproposto il brevetto comunitario con alcune varianti rispetto a quanto già presentato nel 2003, stabilendo che i Brevetti UE vengano direttamente esaminati e concessi in una delle lingue ufficiali dell’EPO, ovvero francese, inglese o tedesco. Il brevetto concesso verrà pubblicato nella stessa lingua, che sarà considerata la lingua legalmente vincolante. La pubblicazione comprenderà la traduzione delle rivendicazioni nelle altre due lingue ufficiali dell’EPO e al titolare del brevetto non verranno richieste traduzioni nelle altre lingue tranne nel caso in cui sorga una controversia legale in merito al Brevetto UE. In questo caso, il titolare del brevetto potrebbe dover presentare altre traduzioni a proprie spese. Nel 2011, il brevetto comunitario è stato di fatto imposto ai Paesi dell’Unione Europea tramite l’istituto della cooperazione rafforzata, raccogliendo l’adesione di 25 governi su 27, con la sola opposizione di Italia e Spagna.

Per concludere, propongo al lettore quattro elementi di riflessione rispetto al Protocollo di Londra e al Brevetto Comunitario, così da lasciare alcuni motivi di dubitare circa opportunità ed equità di tali strumenti, per come sono proposti oggi.


Quanto influiscono i costi di traduzione?

La prima riflessione è che la causa principale della scarsa concorrenzialità del sistema europeo non sono le traduzioni. Tuttavia, queste incidono notevolmente, stando alle stime convalidate dall’EPO.

C’è un particolare che nella documentazione EPO viene citato strumentalmente e senza il dovuto risalto: per avallare e sostenere la campagna che ha portato all’adozione del Protocollo di Londra e che attualmente supporta pesantemente il Brevetto Comunitario, l’EPO indica il costo medio della traduzione di una pagina a 85 euro: una cifra che fa sognare e rabbrividire gli addetti ai lavori nel mondo reale, che evidentemente è diverso dal magico mondo EPO in cui i traduttori si arricchiscono lavorando potenzialmente poco…

A livello di agenzia di traduzioni operante con i più elevati standard di qualità, il costo medio della traduzione a pagina in ambiente brevettuale non arriva a 20 euro. Ne consegue necessariamente che i dati riportati dall’EPO sono falsi o quantomeno contaminati e che pertanto l’informazione è stata eccessivamente sbilanciata per dare impulso al processo decisionale che ha portato all’adozione del Protocollo di Londra, oppure che gli intermediari fra il lavoro di traduzione e l’EPO – tipicamente uffici legali specializzati in proprietà industriale – applicano un mark-up (margine di guadagno) intorno al 350% sul lavoro dei traduttori. Ebbene, in questo caso i costi che rendono non concorrenziale il sistema multilingue europeo non sarebbero dovuti alla traduzione, ma alla speculazione sul lavoro di traduzione.

Il parere inascoltato della Corte di Giustizia

La seconda riflessione: in uno stato (inteso come condizione, non come nazione, se non in senso paneuropeo) di diritto, il parere espresso formalmente dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dovrebbe essere legge – o quantomeno direzione da seguire obbligatoriamente.

Il 3 febbraio 2011 tale ente ha sentenziato che è discriminatorio pubblicare solo in tedesco, inglese e francese un bando di assunzione per i giovani di tutti i 27 Paesi UE che vogliano appunto lavorare nelle istituzioni europee, fornendo pertanto una chiara indicazione agli artefici del Brevetto Comunitario (4).

Poco più di un mese dopo (Parere 1/09, 8 marzo 2011), lo stesso ente si è espresso negativamente nei confronti della creazione di un tribunale europeo e comunitario dei brevetti. Tale parere è vincolante: uno stato membro, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione possono richiedere il parere della Corte di giustizia sulla compatibilità di un accordo previsto con i trattati. In caso negativo, l’accordo non può entrare in vigore, salvo modifica di quest’ultimo o revisione dei trattati (5). Questi pareri si basano su uno degli atti fondanti dell’Unione Europea: il diritto inalienabile di ognuno dei suoi cittadini ad esprimere le proprie idee ed emozioni nella propria lingua nazionale. Idee, quindi brevetti.


La forzatura della cooperazione rafforzata

La terza riflessione: ha destato scalpore la decisione di ricorrere all’istituto della cooperazione rafforzata per imporre l’avvio procedurale verso il Brevetto Comunitario. Si dovrebbe trattare di uno strumento da adottare soltanto in via eccezionale, laddove strategicamente necessario per ovviare al requisito dell’unanimità: eppure siamo già al suo quarto utilizzo, dopo le deroghe che ha permesso su adozione dell’Euro, accordi di Schengen e pareggio di bilancio.


La comunicazione deviata

Quarta riflessione: quando un ‘potere forte’ intende imporre una propria decisione alla pubblica opinione, e teme (o sa) che, se correttamente informata, la pubblica opinione vi si opporrebbe, sovente applica una tecnica di comunicazione deviata (dis)informando mediante incompetenza e «confusione mediatica», così da tenere basse capacità critica e soglia di attenzione sulla questione aperta, e da fornire messaggi contraddittori e apparentemente disgiunti fra loro in relazione alla questione stessa, scollando significati e significanti e generando una nebbia in cui il pubblico si perde e finisce per perdere interesse ed attenzione. Purtroppo di questi disservizi sono colme le pagine dei giornali e i servizi dei telegiornali, e hanno riguardato anche l’argomento ‘traduzione brevettuale’, laddove ormai da anni si parla indistintamente di Brevetto Europeo e Brevetto Comunitario senza le dovute distinzioni e senza fornire dati esatti, neutrali e di semplice lettura su un settore strategico per la tenuta e la crescita del ‘Sistema Europa’ qual è, di fatto, quello della proprietà industriale.

 

Bibliografia

Borello, E. 1999. «La traduzione brevettuale: aspetti linguistici e glottodidattici». Quaderni del Dipartimenti di Linguistica – Università di Firenze 9 (1998/99), 1-12.
Costa, C., Baldini, C., Plebani, R. 2003. Guida Pratica «Marchi, brevetti, know-how e licensing». Milano: Centro Estero Camere Commercio Lombarde.
Ghidini, G., Hassan, S. 1990. Biotecnologie, novità vegetali e brevetti. Milano: Giuffrè.
Newmark P. 1988. La traduzione: problemi e metodi. Teoria e pratica di un lavoro difficile e di incompresa responsabilità. Milano: Garzanti.
Perotto, F. 2008. La traduzione brevettuale. Roma: Aracne.
Perotto, F. 2009. «Lingue in trincea: il mercato della traduzione brevettuale in Europa». Education et Sociétés Plurilingues, n° 26, pp. 83-90.


Siti istituzionali

EPO: http://www.european-patent-office.org/index.htm
WIPO/OMPI: http://www.wipo.org/

 

Documentazione consultabile online

Libro verde sul brevetto comunitario e sul sistema dei brevetti in Europa. http://europa.eu/documents/comm/green_papers/pdf/com97_314_it.pdf
Parere della Corte Europea circa l’istituzione di un tribunale unico in materia di brevetti.http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009CV0001:IT:HTML
Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il Tribunale del brevetto comunitario e disciplina i ricorsi in appello dinanzi al Tribunale di primo grado. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52003PC0828:IT:HTML

Note

  1. http://europa.eu/documents/comm/green_papers/pdf/com97_314_it.pdf
  2. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52003PC0828:IT:HTML
  3. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009CV0001:IT:HTML